Politica

Ambrosoli, le telefonate di minacce dei boss legati a Sindona e Andreotti

L'avvocato era stato chiamato da Giacomo Vitale, nipote del boss Stefano Bontate, che lo aveva minacciato e accusato, come aveva riferito l'allora ministro della Difesa, di non volere salvare la Banca Privata Italiana

Era l’11 luglio del 1979 quando un killer a pagamento, William Aricò, uccideva il commissario liquidatore della Banca Privata Italiana, Giorgio Ambrosoli. A ordinare quell’omicidio era stato Michele Sindona, il finanziere siciliano proprietario dell’istituto di credito. Ambrosoli aveva detto no alle lusinghe, ai tentativi di corruzione, alle pressioni e alle minacce vere e proprie, provenienti da Sindona, dal mondo politico democristiano e dalla Loggia P2. Di fronte a quel terribile crescendo d’interventi, che gli chiedeva di salvare il banchiere della mafia, amico di Giulio Andreotti e finanziatore della Dc, Ambrosoli aveva tirato dritto e aveva pagato con la vita. 

Nel video sotto, infatti, andato in onda ad Annozero, è possibile ascoltare la telefonata di Giacomo Vitale (anche se nel video le sue dichiarazioni vengono erroneamente attribuite ad Aricò), cognato del boss Stefano Bontate che era in collegamento, come confermato dall’istruttoria e dalle sentenze di maxi processo di Palermo, con l’allora ministro della Difesa. Nel corso della chiamata, Vitale minaccia l’avvocato e lo accusa, come gli avrebbe riferito Andreotti, di non volere “collaborare”. Ovvero di non volere salvare la Banca di Sindona

Quattro anni prima di morire, Ambrosoli inviò inoltre una lettera alla moglie in cui spiegava che avrebbe pagato “a caro prezzo”:

“Anna carissima,

è il 25.2.1975 e sono pronto per il deposito dello stato passivo della B.P.I., atto che ovviamente non soddisferà molti e che è costato una bella fatica. Non ho timori per me perché non vedo possibili altro che pressioni per farmi sostituire, ma è certo che faccende alla Verzotto e il fatto stesso di dover trattare con gente di ogni colore e risma non tranquillizza affatto. E’ indubbio che, in ogni caso, pagherò a molto caro prezzo l’incarico: lo sapevo prima di accettarlo e quindi non mi lamento affatto perché per me è stata un’occasione unica di fare qualcosa per il Paese. Ricordi i giorni dell’Umi (Unione monarchica italiana, ndr), le speranze mai realizzate di far politica per il paese e non per i partiti: ebbene, a quarant’anni, di colpo, ho fatto politica e in nome dello Stato e non per un partito.

Con l’incarico, ho avuto in mano un potere enorme e discrezionale al massimo ed ho sempre operato – ne ho la piena coscienza – solo nell’interesse del Paese, creandomi ovviamente solo nemici perché tutti quelli che hanno per mio merito avuto quanto loro spettava non sono certo riconoscenti perché credono di aver avuto solo quello che a loro spettava: ed hanno ragione, anche se, non fossi stato io, avrebbero recuperato i loro averi parecchi mesi dopo. I nemici comunque non aiutano, e cercheranno in ogni modo di farmi scivolare su qualche fesseria, e purtroppo, quando devi firmare centinaia di lettere al giorno, puoi anche firmare fesserie. Qualunque cosa succeda, comunque, tu sai che cosa devi fare e sono certo saprai fare benissimo. Dovrai tu allevare i ragazzi e crescerli nel rispetto di quei valori nei quali noi abbiamo creduto [… ] Abbiano coscienza dei loro doveri verso se stessi, verso la famiglia nel senso trascendente che io ho, verso il paese, si chiami Italia o si chiami Europa. Riuscirai benissimo, ne sono certo, perché sei molto brava e perché i ragazzi sono uno meglio dell’altro.. Sarà per te una vita dura, ma sei una ragazza talmente brava che te la caverai sempre e farai come sempre il tuo dovere costi quello che costi (…)
Giorgio”