Politica

Andreotti, potere e misteri/1. Gli sponsor vaticani portano il giovane Giulio in alto

Ai tempi di Pio XII era definito "il soldato del papa". Poi l'incontro con De Gasperi che gli chiede: "Ma lei non ha di meglio da fare?". E in pochi anni lo vuole come braccio destro nel governo. La prima base elettorale in Ciociaria, lo scandalo Wilma Montesi usato per tagliar fuori gli avversari. Poi la prima corrente nella Dc: "Primavera". E l'accordo (pesante) con il fanfaniano Salvo Lima

Dai primi passi dentro le mura vaticane (con accesso diretto all’appartamento di Pio XII) ai rapporti con Sindona. Dal caso di Wilma Montesi ai presunti contatti con Licio Gelli. E poi Salvo Lima e i boss, Ciarrapico e gli appalti. Una storia politica lunghissima, tutta vissuta nei più importanti palazzi del potere, vedendo scorrere i più clamorosi e misteriori eventi della storia del Paese. Dal dopoguerra agli anni ’90. Ecco il primo degli appuntiamenti con “Andreotti, potere e misteri”: la storia e i segreti del Divo raccontati in quattro puntate dal direttore de ilfattoquotidiano.it Peter Gomez

Nato a Roma sotto il segno del Capricorno, il 14 gennaio del 1919, al terzo piano di via dei Prefetti 18, a un passo dalla Camera dei Deputati, Giulio Andreotti inizia in salita. Il padre, maestro elementare, muore di pleurite quando Giulio ha due anni lasciando senza redditi e pensione la famiglia. Elementari alla “Gianturco”, liceo al Tasso dove studiano anche i figli del duce, Andreotti da ragazzo si mantiene lavorando come claqueur nei teatri romani. Deciso a diventare medico s’iscrive invece a giurisprudenza e si laurea con una tesi sulla “Personalità del delinquente nel diritto della Chiesa”.

«Non scrivo la storia, mi accontento della cronaca», è una delle sue frasi più citate. Ma la sua vita, sempre sospesa tra la cronaca politica e quella giudiziaria, rappresenta il pezzo più ingombrante degli ultimi 70 anni di storia italiana.

E’ stato per sette volte presidente del Consiglio. Per trentatré volte ministro. Ha retto per anni dicasteri importanti come quelli delle Finanze, della Difesa, degli Esteri, del Bilancio e del Tesoro. Tra il 1969 e l’84 ha visto il suo nome finire per 26 volte davanti alla commissione inquirente. Ma tutte le denunce sono state archiviate. Poi è stato processato. Per mafia a Palermo. Per omicidio a Perugia. Dall’accusa di omicidio l’hanno prima assolto, poi condannato e infine ancora assolto. Da quella di mafia l’hanno in parte assolto e in parte prescritto, ma solo uno degli oltre 35 collaboratori di giustizia che lo accusavano è stato indagato per calunnia.

Non è un caso. Come non è un caso che i giudici siciliani nella loro sentenze abbiano utilizzato il secondo comma dell’articolo 530, una norma che, secondo gli esperti di diritto, equivale alla vecchia insufficienza di prove. Nel 1989 aveva detto: “Chi non vuole far sapere una cosa, in fondo non deve confidarla neanche a se stesso”. La sua biografia dimostra come questa sia stata l’unica legge che ha sempre rispettato.

IL SOLDATO DEL PAPA – L’Andreotti politico muove i primi passi subito dopo il liceo. Appena diciottenne entra a far parte della Fuci, la federazione degli universitari dell’azione cattolica. Qui trova come guida un giovane monsignore: Giovan Battista Montini, poi salito al Soglio pontificio con il nome di Papa Paolo VI. La Fuci, tollerata a fatica dal regime, era allora il centro dell’antifascismo culturale appoggiato dalla chiesa. Nel 1938, durante un convegno tenuto da Giorgio La Pira, Andreotti vede Adriano Ossicini prendere la parola per sostenere che compito del cristiano “é quello di combattere il fascismo con tutte le forze concrete”. Giulio, seduto in prima fila, rimane sbalordito e a fine intervento lo avvicina chiedendo: “Vorrei capire bene che cosa hai detto”.

I due diventano amici. Cominciano a discutere sulla conciliabilità di marxismo e cristianesimo, a scriversi e a giocare a ping-pong: interminabili tornei cui partecipavano oltre a Ossicini, futuro capogruppo degli indipendenti di sinistra, Luciano Barca, futuro responsabile economico del Pci, e Franco Rodano, l’uomo che più di ogni altro spingerà Enrico Berlinguer verso il compromesso storico. Qualche mese dopo l’incontro con Ossicini, Andreotti conosce anche Alcide De Gasperi, perseguitato dai fascisti e ospitato dal Vaticano per evitargli il carcere. Non é un colpo di fulmine, ma poco ci manca. Giulio entra nella biblioteca della Santa Sede alla caccia di volumi che gli dovevano servire per una tesina sulla marina pontificia. Il bibliotecario, un uomo di mezza età dalla faccia ossuta, lo guarda storto e gli chiede: “Ma lei non ha di meglio da fare?”. Era De Gasperi.

Sarà lui ad offrire a Andreotti la possibilità di collaborare con il “Popolo”, il giornale clandestino che sarebbe poi diventato l’organo ufficiale della Dc. Così nel 1940 Andreotti si trova catapultato alla testa della Fuci, diventandone però ufficialmente presidente solo nel febbraio del ‘42. Prende il posto di Aldo Moro che, più vecchio di tre anni, deve partire militare. Andreotti invece non va in guerra. Per insufficienza toracica è assegnato ai servizi sedentari e poi riesce a farsi trasferire in Vaticano come “guardia palatina”. In pratica è un soldato di Pio XII.

Con Moro sotto le armi, Andreotti ha il campo libero.  Papa Eugenio Pacelli apprezza la sua pacatezza. Giulio può andare da lui senza appuntamento e restare nel suo studio per ore. Pio XII lo utilizza come un occhio sul mondo cattolico e gli chiede notizie sui ragazzacci della sinistra cristiana che intrattenevano segretamente rapporti con i pericolosi comunisti.

Adesso per loro in Vaticano tira una gran brutta aria. Andreotti fin che può cerca di proteggerli, poi li abbandona al loro destino. Ormai ha quasi 25 anni. De Gasperi per coptazione gli affida incarichi sempre più importanti.  Prima lo mette al vertice dei “Gruppi di studio e propaganda della Dc”, poi lo fa nominare delegato al congresso nazionale della democrazia cristiana. Accanto a sé adesso Giulio ha un nuovo amico, Franco Evangelisti, destinato a diventare il suo braccio destro.

IL DOMENICANO VENUTO DA WASHINGTON – In Italia tutto sta cambiando. Il fascismo é sconfitto. Gli alleati sono sbarcati nella penisola. Sul finire della guerra l’Oss, l’antenata della Cia, aveva preso a finanziare segretamente, in funzione antifascista e anticomunista, la neonata Dc. Dopo i primi contatti con don Luigi Sturzo, l’ex leader dei popolari, un agente segreto americano aveva aperto un canale anche con De Gasperi. Con i fondi di Washington s’inaugura così a Roma il centro universitario Pro Deo, la cui direzione è affidata a un domenicano. Si chiama padre Felix. A. Morlion. Si devono a lui i rapporti sulla situazione italiana che a partire dal ’44 arrivano a Washington. Morlion é, di fatto, una spia. E come scriverà lui stesso accanto a sé “ad assisterlo nella pubblicità c’é un giovane mandatogli da De Gasperi di nome Giulio Andreotti”. Da quel momento gli americani cominceranno ad inviare fondi allo scudocrociato. Nel corso degli anni, secondo il Congresso Usa, arriveranno in Italia circa 100 milioni di dollari.

Sempre i servizi segreti americani, come é pacificamente documentato dai dispacci dell’Oss, per risolvere la questione del fronte sud e riuscire finalmente a sbarcare in Italia, avevano preso accordi con Cosa Nostra. Nel ‘42 avevano trattano con Lucky Luciano organizzando uno sbarco di agenti prima e di truppe alleate poi nella Sicilia occupata dai nazisti. I primi mafiosi e i primi 007 arriveranno nell’isola nel gennaio e nel febbraio del ‘43. Dopo la liberazione gli amministratori locali legati al vecchio regime saranno sostituiti da uomini d’onore. A guerra finita molti di loro diventeranno democristiani e formeranno la base elettorale dei Dc seguaci di Bernardo Mattarella. La vicenda è fondamentale per comprendere i fenomeni successivi rappresentati da Vito Ciancimino e Salvo Lima (pupillo proprio di Mattarella).

Nell’aprile del ‘45 gli anglo-americani dilagano nell’Italia settentrionale. E in maggio, con l’aiuto delle brigate partigiane, costringono i tedeschi a capitolare. L’Italia é finalmente libera. Il 2 giugno del 1946 Andreotti viene eletto deputato all’assemblea costituente. Un anno prima si era sposato con Livia Danese, figlia di un funzionario delle ferrovie. I rapporti con De Gasperi, presidente del consiglio dal ‘45 al ‘53, e gli americani sono sempre più intensi. Tanto che quando il 10 giugno del ‘47 De Gasperi, dopo un viaggio negli Usa, pone fine al periodo dei governi di “Unità antifascista”, Giulio Andreotti diventa sottosegretario alla presidenza del Consiglio. Il suo grande sponsor, l’uomo che spinge per la nomina è Giovan Battista Montini. Andreotti ha 28 anni. Ricoprirà l’incarico fino al gennaio del 1954.

Per conto di De Gasperi Andreotti svolge missioni delicate. Quando nel ‘48 il governo italiano si trova tra le mani il documento costitutivo del Cominform, l’ufficio d’informazione creato un anno prima dai paesi del blocco sovietico, Andreotti va a Parigi e consegna il carteggio al governo francese perché lo faccia pubblicare. Il rapporto sul Cominform provoca sdegno in Italia e assieme all’emozione causata dall’invasione sovietica della Cecoslovacchia contribuisce alla vittoria della Dc nelle elezioni del successivo 18 aprile.

ARCHIVI E MINI-ASSEGNI – Il giovane Andreotti, insomma, comincia da subito a imparare l’importanza degli archivi, dei servizi segreti e della stampa. De Gasperi gli affida in custodia l’elenco segreto degli intellettuali italiani che erano stati, finanziati dal Miniculpop, il ministero della cultura popolare fascista. Le potenzialità ricattatorie di quei documenti sono evidenti.

Ma non basta. Andreotti, con l’ormai inseparabile Evangelisti, si occupa anche di propaganda elettorale. E’ un mago della politica clientelare a tutti i livelli letta, a suo dire, con l’ottica della carità cristiana. E’ lui per esempio a decidere a chi intestare buona parte delle migliaia di assegni da 2000 lire inviati come sussidio dalla presidenza del Consiglio nei primi anni della Repubblica a famiglie di elettori bisognosi. E sarà lui ad organizzare periodicamente ricevimenti per dipendenti pubblici sulla via della pensione che potranno tornare a casa vantandosi di essere stati “invitati da Andreotti”.

Nasce così in Ciociaria la sua prima base elettorale. A Frosinone, la fabbrica di materassi Permaflex apre una propria succursale. La dirigerà, a partire da metà degli anni ’50 un ex fascista, il futuro capo della P2 Licio Gelli. La Permaflex gode dei finanziamenti della Cassa per il mezzogiorno. Sul finire degli anni ’60, Gelli consegnerà ai servizi segreti un appunto nel quale sostiene che fu Andreotti ad attivarsi per far arrivare i fondi pubblici alla sua impresa. Gelli, secondo il documento, si sarebbe sdebitato allungando al politico, tra il ‘56 e il ’60, mazzette per 20 milioni. Nel ’58 a Frosinone, Gelli diventerà amico anche di Giuseppe Ciarrapico, destinato a essere, negli anni 80 e 90, il più andreottiano di tutti gli imprenditori andreottiani. Nel 1983, la commissione inquirente, archivierà una denuncia presentata contro Andreotti per aver favorito la Permaflex in una gara per la fornitura di 40.000 materassi alla Nato.

Fedele alla chiesa e agli americani Andreotti negli anni ’50 guarda a destra per allargare l’elettorato. Mentre in parlamento e sui giornali infuria la polemica sulla legge truffa (un premio di maggioranza del 15 per cento dei seggi che doveva essere garantito al partito che superasse il 50 per cento dei consensi), Andreotti tiene un comizio ad Arcinazzo in Ciociaria dove, equipaggiate di cestini merenda forniti dall’organizzazione, accorrono 5000 persone. Tra di loro c’é anche l’ex maresciallo d’Italia, il repubblichino  Rodolfo Graziani. Il maresciallo, che proprio ad Arcinazzo qualche mese prima aveva organizzato un campo di simpatizzanti missini (definito “paramilitare” dalla stampa), davanti ad Andreotti, dice “se qualcosa abbiamo ottenuto in questa valle, l’abbiamo avuto da quando De Gasperi é al governo”. I due al termine del discorso si abbracciano. Scoppia lo scandalo.

Giulio é dunque un conservatore. E non solo in politica, dove si colloca decisamente più a destra di De Gasperi. Anche nel mondo della cultura. Nelle sue vesti di sottosegretario presidenza del Consiglio con delega alla Spettacolo e allo Sport, non si limita a ricostruire il cinema italiano, ma tenta anche di condizionarlo. Nel ‘52 manda una lettera a Vittorio De Sica in cui critica il pessimismo di “Umberto D”, la storia di un orfano, e gli chiede di far brillare “un raggio di sole in più”. Secondo i giornali ad Andreotti non piace il neorealismo perché “i panni sporchi si lavano in famiglia”. Lui, come spesso é accaduto, negherà di aver pronunciato la frase.

SCANDALI E RICATTI – La sua abilità, i suoi contatti, la sua capacità di raccogliere decine di miglia di preferenze, la sua giovane età, gli attirano addosso odi e malumori. Anche nel suo partito molti lo vorrebbero fare fuori. L’occasione sembra arrivare nel ‘53, quando con De Gasperi malato, nella Dc si scatena la guerra per la successione. In pole position c’é l’ex segretario della Dc Attilio Piccioni, vice-presidente del Consiglio in carica. L’11 aprile del ’53, però, sulla spiaggia di Torvaianica viene trovata morta – senza né calze, né reggicalze – una ragazza poco più che ventenne: Wilma Montesi. Inizialmente si parla di disgrazia. Poi salta fuori una storia oscura, fatta di festini e cocaina, che sembra coinvolgere direttamente un figlio del vice-primo ministro. Emergono una serie di coperture politiche democristiane attivate per soffocare lo scandalo. Piccioni esce di scena distrutto.

Ancor oggi non é chiaro chi abbia manovrato l’intera vicenda. Tutti gli storici sono comunque concordi nell’asserire che l’affaire fu utilizzato da correnti interne alla Dc per evitare che Piccioni succedesse a De Gasperi. Molti puntano il dito su Amintore Fanfani. Andreotti dal canto suo ha dimostrato di sapere benissimo come andarono realmente le cose. E nel  marzo del ‘74, quando si vedrà minacciato dal primo scandalo dei petroli, dirà in un’intervista all’amico giornalista Lino Jannuzzi: “Se veramente ci fosse qualcuno che mi vuole tirare dentro  […] ha sbagliato i suoi calcoli. Proprio in questo periodo stavo cercando di ricostruire come nacque veramente l’affare Montesi, e chi lo manovrò”. L’abitudine di andare a rivangare il passato e di minacciare, quando attaccato, rivelazioni clamorose sarà una costante della sua vita. All’epoca dello scandalo Montesi risale anche il primo grande mistero della storia della Repubblica.

E’, infatti, il 1954 quando Fanfani diventato presidente del consiglio, nomina Andreotti ministro degli Interni in un governo destinato a durare, proprio a causa della vicenda Montesi, solo 23 giorni. Il 9 febbraio, 24 ore prima, che Fanfani rassegnasse le dimissioni Gaspare Pisciotta, l’assassino del bandito Salvatore Giuliano, viene ucciso in carcere da un caffè avvelenato. Con sé Pisciotta porta tutti i suoi segreti. Durante un processo aveva ammesso di aver ucciso Giuliano (smentendo così la versione ufficiale che voleva il bandito morto in un conflitto a fuoco con i carabinieri), e aveva sostenuto di aver contrattato l’uccisione direttamente con il ministro siciliano degli Interni, Mario Scelba. La Dc, infatti, secondo Pisciotta, voleva morto il bandito perché Bernardo Mattarella e i deputati monarchici Alliata e Leone di Marchesano, lo avevano coperto ed erano stati mandanti di una serie di delitti politici da lui commessi.

Dopo la morte di Pisciotta sarà proprio Scelba ad andare al governo tenendo per sé ad interim anche la carica di ministro degli Interni.  Il giovane Andreotti invece resta fuori. In giugno parte per gli Stati Uniti  e al ritorno fonda una corrente tutta sua. Si chiama “Primavera”. E’ collocata su posizioni di destra, ma ha seguito solo nel Lazio e nel mondo del Vaticano. Gli andreottiani, infatti, saranno,  per anni destinati ad essere una forza minoritaria della Dc, finché nel ’69 non viene stretto un accordo con il fanfaniano Salvo Lima, ex sindaco di Palermo, figlio di un uomo d’onore e citato 149 volte nelle conclusioni della commissione antimafia. Nel 1956 Carlo Alberto Dalla Chiesa, ancora colonnello,  aveva parlato per la prima volta di lui in un’intervista a Giorgio Bocca “La mafia non c’è”, aveva detto con amara ironia, “Ci sono solo delle strane combinazioni. Per esempio c’è un tale Salvatore Lima. Lo hanno votato in massa tutti i dipendenti dell’azienda tranviaria diretta da un amico di Vassallo. Non conosce Vassallo? Faceva il carrettiere, poi ha costruito mezza Palermo”.

(1/4 – continua)