Politica

Vajont, la prima volta di Grillo: “Da qui ogni anno una messa di Papa Francesco”

Un pellegrinaggio nei luoghi dove lo Stato non c’è più. Beppe Grillo in cima alla diga del Vajont arriva con il camper, tra un comizio e l’altro per le elezioni regionali del Friuli Venezia Giulia. All’inizio devono averglielo proposto come battuta, quasi con il timore di fargli deviare strada, ma Beppe Grillo che lassù non era mai stato, non se lo è fatto ripetere due volte. “E’ importante tornare nei luoghi di tragedie che hanno portato grande dolore. Sono posti dove lo Stato non c’è prima, non c’è durante e non c’è neanche dopo. Proprio come a L’Aquila, abbandonata dopo il terremoto”. Sono passati cinquanta lunghi anni dalla tragedia del Vajont, da quella notte del 9 ottobre 1963. Una parte del Monte Toc franò nel bacino artificiale creando un’onda d’urto simile ad uno tsunami. Erto, Longarone e Casso i paesi spazzati via. 1910 i morti. Ne restano case vuote come scheletri a osservare sulle montagne ed edifici nuovi ancora più spogli, quasi fossero in prestito su pendii dimenticati.

“E’ la mia prima volta qui”. Beppe Grillo passeggia sulla passerella tra le grate di ferro e chiacchiera. Lo accompagna lo scrittore Mauro Corona, guida d’eccezione per una visita unica nel suo genere. “Vorrei che qui ogni anno si celebrasse una messa, perché non proprio da Papa Francesco? – è l’invito del leader politico – vorrei che ci fosse qualcuno che al centro della diga dicesse ad alta voce i nomi delle vittime. Per non dimenticare più”. E una delle pagine nere di una storia italiana ancora recente. Pochi quelli rimasti a raccontarla, poche le cronache che ritornino sull’accaduto. Un giorno è venuta giù la montagna. Lo sapevano e nessuno ha saputo intervenire in tempo. “Non ce lo ricordavamo più il Vajont – commenta Beppe Grillo – la prima cosa che mi viene in mente è l’assenza”. Il vuoto di istituzioni che dovrebbero ricordare e invece non fanno che mettere sotto il tappeto pagine di storia dal bordo nero. “E’ il duro fenomeno dell’onta. Di quando succede qualcosa e i responsabili restano nascosti, non vogliono farsi vedere. Non deve succedere più, non nel paese che vogliamo costruire”. Grillo passeggia per quella passerella di ferro sospesa tra le montagne, il bacino artificiale e il cielo.  

Massimo quaranta persone possono entrare alla visita della diga. Ma gli abitanti del posto arrivano piano piano, chiedono di passare, vogliono sentire quel comizio o semplicemente la visita silenziosa. Poi si aprono i cancelli e Beppe Grillo è un fiume in piena. Lo aspetta uno striscione: “I bambini non morirono per incuria, ma per colpa” e le mani dei rappresentanti delle associazioni locali, di chi ogni giorno quella visita la compie per far ricordare. Un percorso che il leader politico rispetta, ascoltando la storia e seguendo le indicazioni.

Del resto è il giorno del cambio di passo, di toni più morbidi, così che molti osano parlare di apertura al Partito Democratico. “Assolutamente no – precisa Grillo che forse per la prima volta in un comizio non chiama Bersani “Gargamella”, o almeno cerca di non farlo – io dico, abbiamo un Parlamento, perché non si comincia a lavorare? Votiamo le leggi, votiamo le idee. Con il Pd potremmo fare la legge sul conflitto di interessi in mezz’ora. E’ pronta”. E non è l’alternativa che alcuni democratici possano non votarla a spaventare il leader: “Se non l’appoggiano prendiamo il loro nome e cognome e lo diciamo ai cittadini. Abbiamo il diritto di sapere”. Nessuna apertura, ma dialogo tanto. E’ la nuova versione di un Grillo che parla ai giornalisti e passeggia rispondendo alle domande: “Non ho ancora detto una parolaccia, basta con l’indignazione. Adesso siamo in Parlamento per costruire”.

Da Zoppola, passando per Sequals fino a Erto e poi Longarone, i comizi sono gli stessi, parole di riconciliazione con una base che lo accoglie a braccia aperte, tra simpatizzanti e curiosi, tra chi un leader politico nazionale era da tempo che sui monti non lo vedeva arrivare. E se temevano di vedere un Grillo spento dal gruppo poco compatto, trovano altro: “Chiediamo dignità, rispetto per il lavoro che compiamo. Io mi fido ciecamente dei miei ragazzi, si stanno impegnando molto, studiano e lavorano sodo. A volte fanno qualche errore, alzano la voce. Ma sono loro, onesti e sinceri così come li vedete. Siamo solo all’inizio”.