Molti commenti ai post precedenti sul reddito di base incondizionato ci chiedono di portare i dati non solo su quanto costa una misura del genere ma anche su quanto lo Stato in modo diretto e in modo indiretto (tramite Inps) già oggi paga per gli attuali ammortizzatori sociali.
Cerchiamo qui di fornire una prima risposta. La prima domanda che ci poniamo è: quali sono i beneficiari dell’attuale struttura di ammortizzatori sociali? Ci riferiamo in particolare alle varie forme di cassa integrazione (ordinaria, straordinaria e in deroga), all’indennità di mobilità e al sussidio di disoccupazione. È necessario prendere atto che, oggi come oggi, essi sono del tutto inadeguati e iniqui.
Distinguendo tra ammortizzatori sociali, solo circa il 35% di chi è realmente disoccupato possiede i requisiti per accedere al sussidio di disoccupazione: ovvero, avere lavorato 52 settimane negli ultimi due anni e aver pagato i relativi contributi oltre che a presentare una lettera di licenziamento (che, ad esempio, non è possibile per chi è diventato disoccupato causa mancato rinnovo del contratto). Tali parametri sono diventati un lusso che la maggior parte dei lavoratori precari non è in grado di avere.
A sua volta, le diverse forme di cassa integrazione esistenti sono applicate in modo diverso a seconda del settore e della dimensione d’impresa, delle qualifiche, con l’effetto di creare pesanti discriminazioni sul suo utilizzo. Spulciando i dati di bilancio dell’Inps e analizzando i dati di un’elaborazione della Uil, nel 2011 (ultimi dati disponibili) la spesa per gli ammortizzatori sociali ammonta a quasi 17,9 miliardi di euro (i dati in dettaglio nel grafico 4).
Complessivamente, nei 6 anni che vanno dal 2006 al 2011, a fronte di una spesa di quasi 80 mld di euro, lo Stato ha integrato circa 30 miliardi euro. Se questa è la situazione, immaginare un unico ammortizzatore sociale a carico della fiscalità generale, uguale per tutte e tutti, che vada progressivamente a sostituire quelli vecchi, sembra ragionevole, anche perché consentirebbe di ridurre quel cuneo fiscale sul lavoro rappresentato dai contributi sociali, a favore di un maggiore salario in busta paga.
Al riguardo il caso francese può essere un esempio interessante. Una relazione dettagliata del dicembre 2011 sui risultati e sui costi della Revenu de solidarité active (Rsa) francese consente di esaminare i costi sostenuti da un Paese considerato simile al nostro per popolazione, tasso di disoccupazione, struttura sociale e tradizioni giuridiche. Introdotto nel 2009, il Rsa spetta a tutti i residenti in Francia da almeno cinque anni, il cui reddito sia inferiore a una certa soglia (per un single è il salario minimo mensile) e la cui età sia compresa tra i 25 anni e l’età pensionabile. Il sussidio è pari a 483 euro per un single senza altri redditi. Nel 2010 i beneficiari del Rsa sono stati circa 4 milioni di individui, di cui il 64% risultava del tutto privo di reddito. La spesa complessiva per il finanziamento del Rsa nel 2010 è stata di 9,8 miliardi di euro.
È una cifra molto simile a quella che l’erario italiano spende attualmente per i suoi ammortizzatori sociali. Ciò significa che abbiamo speso per un sistema iniquo di welfare una cifra che oltralpe ha garantito a tutti i cittadini un programma di protezione universalistico e più equo (come scrive anche Anna Guida in un ottimo articolo su “La Repubblica degli Stagisti”)