Ambiente & Veleni

Centrali a carbone, continua la battaglia di Enel contro Greenpeace

Secondo l'associazione ambientalista, il colosso elettrico vuole censurare la campagna sui danni alla salute degli impianti per la produzione di energia. Venerdì in aula a Milano una nuova udienza

Nuova battaglia legale tra Enel e Greenpeace. Dopo che, lo scorso luglio, il colosso energetico si è visto rigettare dal giudice della prima sezione del Tribunale civile di Roma, Damiana Colla, il ricorso per rimuovere dal sito di Greenpeace tutti i materiali collegati alla campagna “Enel killer del clima”, la compagnia elettrica torna all’attacco: “Greenpeace sta svolgendo una campagna nei confronti di Enel con modalità che risultano gravemente lesive di diritti esclusivi di marchio Enel”.

Sotto accusa soprattutto la distribuzione da parte degli attivisti “di una finta bolletta Enel” e di “un finto quotidiano Metro”. Due azioni di cui, venerdì 5 aprile, l’associazione ambientalista dovrà rispondere in aula, anche se questa volta a Milano. “Un comportamento intimidatorio, che però non ci spaventa”, afferma Giuseppe Onufrio, direttore esecutivo di Greenpeace Italia: “Questi grandi enti energetici non amano essere criticati, e la questione è strettamente legata alla libertà di cronaca e di critica”. Il riferimento è chiaro: proprio in questi giorni, infatti, un altro colosso dell’energia, Eni, ha fatto causa per ben 25 milioni di euro a Milena Gabanelli, in seguito a una video-inchiesta della trasmissione Report. Le risposte di Greenpeace e dei suoi legali sono pubblicate in anteprima da ilfattoquotidiano.it.

“La quota di energia elettrica prodotta in Italia da carbone è una delle più basse d’Europa. Per l’esattezza è di circa il 14%, metà della media dell’Europa a 27, che usa il carbone per produrre circa il 27% della sua energia elettrica, con punte come in Germania di oltre il 45%”. E’ quanto afferma Gerardo Orsini, capo ufficio stampa di Enel: “Le centrali Enel, qualsiasi combustibile utilizzino, operano nel pieno rispetto della legalità, in quanto hanno emissioni di gran lunga inferiori a quanto dettato dalle norme nazionali e europee a tutela della salute e dell’ambiente, e sono sottoposte a costanti verifiche e rinnovi delle autorizzazioni da parte delle autorità competenti”.

Non è d’accordo Greenpeace, secondo cui “Enel con il carbone realizza extra profitti ai danni della salute dei cittadini e dell’ambiente”. Un dato di fatto, assicura l’associazione ambientalista, che contesta alla compagnia energetica (70 miliardi di fatturato) di vedere aumentare i propri introiti utilizzando una fonte di energia che, come il carbone, solo in Italia provoca oltre una morte al giorno e danni sanitari per un totale di 1,6 miliardi di euro. Eppure “una strategia energetica diversa è possibile”, fa presente Onufrio. Come? “Cambiando la politica dell’azienda e i suoi vertici, che investono troppo su carbone e troppo poco sulle rinnovabili”.

Proprio questo amore per le rinnovabili da parte di Greenpeace ha portato il colosso energetico ad affermare che le campagne dell’associazione contro il carbone e i combustibili fossili sono collegabili ad un conflitto di interessi: “Le attività a marchio Greenpeace si stanno evolvendo a livello internazionale e non sono più limitate alle sole campagne di sensibilizzazione su problematiche di carattere ambientale, ma si estendono alla produzione e vendita di energia da fonti rinnovabili – scrive Enel nel suo ricorso -. E’ quanto avviene ad esempio con la cooperativa tedesca Greenpeace Energy Eg, attiva appunto nella produzione e vendita di energia ottenuta da fonti rinnovabili”.

Ma è davvero così? “Greenpeace Energy è una cooperativa con oltre 22mila soci promossa da Greenpeace Germania ma completamente indipendente da noi, ed opera solo nel mercato tedesco, dove ci non ci risulta ci sia Enel –  sostiene Onufrio -. Non capisco dunque come un attacco all’uso del carbone da parte di Enel in Italia possa essere collegato o favorire un produttore tedesco da fonti rinnovabili”. “Ciò che mi sembra più paradossale – aggiunge il direttore di Greenpeace Italia – è che ci accusano di fare una raccolta fondi che in un anno bastano a malapena a pagare l’amministratore delegato di Enel (Fulvio Conti, ndr), mentre loro fanno degli extra-profitti proprio con il carbone”. Il vero scandalo di tutta questa storia, ribadisce il direttore di Greenpeace Italia, è che “l’utilizzo del carbone, che causa i peggiori danni sia all’ambiente che alla salute, non va a vantaggio dei cittadini, ma esclusivamente dell’azienda”.

Secondo Enel è vero il contrario: Greenpeace ha avuto modo di guadagnare parecchio, lo scorso anno, in seguito a queste “campagne diffamatorie” nei suoi confronti. “Abbiamo avuto una crescita nel numero dei sostenitori, soprattutto nell’anno del referendum sul nucleare, ma gli ultimi due bilanci di Greenpeace Italia, 2011 e 2012, in realtà sono finiti in rosso, anche per una serie di investimenti che abbiamo fatto – ribatte Onufrio – Diciamo che il fatto di non accettare soldi né dallo Stato né dalle aziende ci dà un’indipendenza che, evidentemente, è ciò che dà maggiormente fastidio”.

Nell’ultima battaglia fra Enel e Greenpeace il giudice aveva dato ragione all’associazione ambientalista, in quanto la durezza delle espressioni era “giustificata dalla gravità della tematica affrontata, dal suo rilevante interesse per l’opinione pubblica (oltre che per la comunità scientifica internazionale), dalla funzione tipicamente di denuncia dell’associazione resistente, dalla tipologia di utenti/destinatari del messaggio critico ed anche infine dell’impostazione in termini satirici della campagna stessa”. Ora, però, bisognerà vedere se i giudici di Milano la penseranno allo stesso modo.

“La validità o meno dei nostri ricorsi contro una campagna che riteniamo diffamatoria e intimidatoria, basata su una scorretta manipolazione dei dati, non la stabiliscono né Greenpeace né Enel, ma la magistratura, nella quale abbiamo piena fiducia”, conclude Orsini. Ribatte Onufrio: “Enel tenta di ridurci al silenzio attraverso le vie legali. Un’azienda ancora oggi largamente controllata dallo Stato non risponde alle contestazioni che Greenpeace le muove riguardo agli impatti sanitari, ambientali ed economici delle sue attività, e invece cerca la strada delle aule di tribunale, convinta di poterci zittire a suon di richieste di risarcimento e denunce. Ma queste intimidazioni non ci fermeranno”.

Quella di venerdì sarà solo la prima di una serie di udienze che vede fronteggiarsi Enel e Greenpeace in tribunale. Dopo la tappa di Milano, infatti, il 19 aprile proseguirà il processo per le proteste di Greenpeace contro la centrale di Porto Tolle del 2006. A fine maggio inizierà un processo contro alcuni attivisti per un’azione non violenta tenutasi presso la centrale di Brindisi nel 2009. E il 21 giugno, invece, si tornerà ancora in aula per fatti analoghi, avvenuti però presso la centrale di Civitavecchia.