Cronaca

Il biologo che si ribella per dare speranze ai figli

“Quanti siamo? Venti, forse venticinque”. Una bazzecola, rispetto ai numeri con cui ormai si misura nelle piazze l’importanza di un movimento. Ma venticinque persone toste e disinteressate a volte possono cambiare in meglio una città. E queste hanno l’aria di saperlo fare. Chi racconta la loro esperienza è un ricercatore Cnr, un neurobiologo, si chiama Stefano Morara. “Per me è incominciato tutto un giorno che siamo rientrati a Milano in auto passando da via Iseo davanti a quel grande scheletro annerito dal fuoco. Avevo in macchina mia figlia e due suoi amici, e li ho visti accendersi, indignarsi”.

Piccolo flashback: ottobre 2011, l’incendio del centro sportivo comunale di viale Iseo, zona Affori, estremo nordovest di Milano. La giunta Pisapia ha da poco revocato la concessione della gestione del centro sportivo a una società sospettata di contiguità con la ‘ndrangheta. Il centro viene dato alle fiamme in pieno giorno, da cinque punti diversi. Incredulità, sgomento. La reazione del consiglio di zona è immediata. Un paio di pomeriggi dopo viene indetta una manifestazione popolare di protesta. Partecipano millecinquecento persone, per la prima volta Milano scende in strada per contrastare la violenza mafiosa scatenata contro le sue strutture pubbliche. Sente il proprio futuro minacciato da quell’incendio che sa di racket e di dominio territoriale, nella zona esercitato per decenni dal clan Flachi. “Fu allora”, continua il nostro scienziato – cinquantenne, magro, i capelli appena brizzolati –, che capii che dovevo far qualcosa per mia figlia. Darle il senso della possibilità di una città diversa. Davanti a quella brutta ferita ho sentito la responsabilità di darle la speranza”. Quell’incendio d’altronde non era stata una follia isolata. Da tempo le inchieste giudiziarie certificavano senza scampo la forza raggiunta dalla ‘ndrangheta nella ex capitale morale. Da qui parte il racconto di una esemplare impresa di cittadinanza attiva. “Nessuno di noi ha tessere di partito, o incarichi politici o istituzionali. Abbiamo le occupazioni più diverse: informatico, casalinga, quadro d’azienda, pensionato… Dietro non abbiamo nessuno. Nessuna risorsa. Ma ci siamo chiesti insieme, riunendoci nelle nostre case, perché certe cose possano succedere, perché le persone normali, non dico quelle un po’ spregiudicate, possano rimuovere una realtà che dovrebbe suscitare rabbia e disgusto. Perché la possa rimuovere la mia vicina di casa. E siamo arrivati alla conclusione che la gente non sa e non ha strumenti. È senza conoscenza e senza coscienza. E per giunta deve affidarsi a istituzioni in cui oggi ha pochissima fiducia”.

Così Morara e gli altri (perché il comitato è ancora senza nome) iniziano a immaginare un percorso di sensibilizzazione collettiva. Girano le parrocchie della zona, trovando molta attenzione in quella di Affori, contattano preti e sacerdoti di Niguarda e di Zara. Mandano lettere ai presidi delle scuole. Rispondono la Scuola civica “Manzoni”, l’istituto tecnico “Falcone”, il liceo “Virgilio”, in assoluto tra i più attivi nella lotta alla mafia. “L’idea più ambiziosa è quella di produrre un sito web di contenuti, che serva a comunicare dati ufficiali, monitorare la situazione, coinvolgendo stabilmente anche gli studenti: e poi un blog o una pagina di facebook per i commenti, per tenersi in rete, sentirsi insieme”. E appunto insieme i venticinque progettano un primo grande evento.

“Due giorni sulla mafia a Milano. Appuntamento il 18 e 19 di maggio a Cassina Anna. Il primo si chiamerà ‘No alla ‘ndrangheta, istruzioni per l’uso’. Verrà il procuratore aggiunto di Reggio Calabria Nicola Gratteri. No, non lo conosceva nessuno di noi, abbiamo telefonato alla procura di Reggio, parlato con la segretaria, spiegato la situazione e lui ha accettato. Con lui ci saranno Antonio Nicaso, l’insegnante con cui scrive i libri, e David Gentili, il presidente della commissione consiliare antimafia. Il secondo giorno avrà per titolo ‘No alla ‘ndrangheta, cosa facciamo insieme’, e sarà dedicata all’incontro con le esperienze positive, come ‘Addiopizzo’, ‘E adesso ammazzateci tutti’ o la Camera di commercio di Reggio Emilia. Insomma, dobbiamo dare il senso che ognuno di noi può fare qualcosa. Anche facendo la spesa, acquistando i prodotti di Libera per esempio. O anche solo disegnando. E infatti abbiamo coinvolto anche le scuole, comprese le medie inferiori, in un piccolo concorso per realizzare i loghi delle due giornate. In mezzo ci saranno tanti eventi sportivi, una grande biciclettata la domenica 19. Ma non pensi che ci fermeremo al singolo evento. Noi vogliamo realizzare qualcosa di continuativo, che aiuti Milano a tenere gli occhi aperti e a chiudere i varchi alla mafia”.

Eccola dunque, l’idea decisiva. Mentre l’immagine dell’antimafia vacilla sotto il peso delle polemiche intestine e delle sentenze di giudici generosi che tante volte escludono l’aggravante mafiosa nelle regioni del nord, qui ci sono semplici cittadini “senza strumenti” che quella aggravante invece la vedono benissimo e si attrezzano a difendere il futuro dei propri figli. Dai clan mafiosi ma anche dalla indolenza civile che li circonda.

Il Fatto Quotidiano, 31 marzo 2013