Politica

M5S, Bersani e Napolitano. Buona Pasqua?

Cari amici, avendo letto i numerosi commenti al mio pezzo di ieri sull'”autoscacco” di 5 Stelle, devo anzitutto scusarmi per un refuso che ha trasformato “extra-partiti” in “extra-parti”.

Inoltre vi inviterei a fare più attenzione alle date. Lo dico a chi mi accusa di non aver commentato la boiata dei 10 saggi di Napolitano: l’ho commentata eccome, ma sul giornale di oggi, mentre il pezzo che stavate commentando era di ieri ed era stato scritto l’altroieri (prima che Napolitano partorisse i “saggi”, anzi quando minacciava ancora le dimissioni).

Ma soprattutto vorrei rispondere a quanti, non potendo più (almeno per un giorno) darmi del servo di Grillo prezzolato da Casaleggio, si sbizzarriscono a chiedermi perché queste cose non le ho scritte prima: non le ho scritte prima perché sono abituato a commentare i fatti (in positivo o in negativo, a seconda di quel che accade e di ciò che penso) quando avvengono. Pensavo e penso che 5Stelle non potesse dare la fiducia a un governo Bersani, per non rinnegare gli impegni (giusti o sbagliati che fossero, siamo liberi di pensarla come vogliamo) presi con gli elettori. E l’ho scritto. Penso altresì che avrebbero fatto bene a proporre, dopo il fallimento di Bersani, qualche nome per un governo non “di” 5 Stelle (che non avrebbe i numeri), ma “a” 5 Stelle per sfidare chi ci stava (o diceva di starci, vedi la parte maggioritaria del Pd) ad appoggiarlo.

Conosco l’obiezione di molti di voi: facile dirlo adesso, perché non l’hai proposto prima? Infatti l’ho proposto martedì, sul Fatto quotidiano, in prima pagina, nel mio solito spazio. Invitando il Pd a ritirare Bersani e i suoi 8 punti e ad affidarsi a Napolitano per un governo “a 5 Stelle” che facesse proprio la parte realistica del programma del Movimento, largamente condivisa anche da gran parte degli elettori del centrosinistra. A quel punto però sarebbe toccato ai 5 Stelle esplicitare o almeno far trapelare qualche nome extra-partiti per guidare quel governo. Quell’articolo online non l’avete trovato perché non tutti i miei pezzi finiscono sul blog e sulla pagina Facebook. Chi legge il Fatto tutti i giorni lo sa. Per chi non lo fa, riporto quell’articolo propositivo intitolato “Vicolo largo”, scritto il 25 marzo e pubblicato il 26 marzo.

Buona lettura, e buona Pasqua a tutti.

Vicolo largo (martedì 26 marzo 2013)
In questo primo mese post-elezioni la politica italiana è cambiata più che negli ultimi vent’anni. Un Parlamento più giovane, più femminile e un po’ meno sporco di prima. I presidenti di Camera e Senato (dimentichiamoci per un attimo i loro nomi, almeno del secondo) scelti fuori dalle nomenklature partitiche. Il loro impegno a tagliarsi lo stipendio, sia pur di poco, innescando un effetto domino. La Sicilia che abolisce le province. Il Pd che parla di conflitto d’interessi, di ineleggibilità di B., addirittura di un sì a richieste d’arresto, tutti temi che fino all’altroieri erano tabù. E osa financo mettere in discussione il dogma del Tav Torino-Lione, grazie a Puppato, Emiliano e Ci-vati, tre rari esseri viventi in un Politburo di mummie. Il merito principale è del Movimento 5Stelle che pungola e spaventa i partiti, dando coraggio e visibilità a dirigenti rimasti troppo tempo nell’ombra e ribaltando l’Agenda Unica che dominava fino a ieri la morta gora con la scusa dei mercati, dell’Europa e del ricatto “Monti, solo Monti, sempre Monti”: spread, austerità, tagli, tasse. Però il miglior Parlamento degli ultimi decenni rischia di sciogliersi alla velocità della luce per mancanza di maggioranza, paralizzato da tre minoranze vicine al 30% (Sinistra, M5S e Destra) più quel che resta del Centro. Siccome, checché se ne dica, il Pd è il partito più votato, sia pur di un soffio, è giusto che l’incarico di tentare un governo sia andato a Bersani. Il quale però non ha la più pallida idea (o, se ce l’ha, non la dice) di come racimolare una maggioranza che gli voti la fiducia al Senato (alla Camera ce l’ha solo grazie al mostro del Porcellum). L’unica sua chance è al blocco Sinistra-Centro (sempreché Monti e Casini ci stiano) si uniscano almeno 17 dissidenti M5S, o la Lega, o il Pdl (votando la fiducia o uscendo dall’aula per abbassare il quorum). Sappiamo che Bersani non vuole i voti del Pdl, ma non può impedire che gli arrivino a sua insaputa per tenerlo in pugno.

Sappiamo che il soccorso leghista non gli dispiace, e vien da domandarsi se sia impazzito, visti i piani secessionisti di Maroni. Sappiamo che la sua prima opzione è spaccare i 5 Stelle col “metodo Grasso” o il “modello Sicilia”, che c’entrano come i cavoli a merenda (le presidenze delle Camere sono cariche istituzionali, il governo è un fatto politico; e nelle regioni la fiducia non esiste). Nei primi due casi Bersani si consegnerebbe nelle mani della Destra: un suicidio. Nel terzo scatenerebbe le proteste grillesche contro un mercato delle vacche che non basta chiamare “scouting” per cancellarne la puzza: un suicidio al cubo. Che fare per non ricascare nel solito inciucio? Ripartire dalle aspettative degli elettori. Ai quali Bersani pro-mise di governare col Centro contro i “populisti” Grillo e B.; Grillo di combattere “Pdl, Pdmenoelle e Rigor Montis”; B. di sbaragliare i “comunisti” Pd-Sel, i “black bloc” a 5 Stelle e il “Trio Sciagura” Monti-Casini-Fini. Nessuno dei tre – né Bersani, né Grillo, né B. – è stato votato per governare con uno degli altri due. Dunque si rispetti, una volta tanto, la parola data e il responso delle urne. Bersani rimetta il mandato prima di sfracellarsi al Senato, cestini i suoi otto punti (di sutura) e dica a Napolitano: “Nomini lei un premier fuori dai partiti, che per pochi mesi faccia poche cose fra quelle che piacciono agli elettori di Sinistra ed M5S, realizzabili in breve tempo: via i fondi pubblici ai partiti, il Tav, il Porcellum, le province; e leggi ‘Robin Hood’ per togliere ai ricchi e dare a chi ha bisogno. Poi, se il governo regge, va avanti; se no si vota”. Qualcuno dirà: 5 Stelle dirà no comunque. E chi può dirlo? Grillo al Colle non ha fatto nomi: ha chiesto un governo “a 5 Stelle”, non “di 5 Stelle”. Se ora alcuni dei suoi sono tentati di dialogare financo col Pd, è possibile che la gran parte dica sì a una proposta che non può rifiutare. Finora non s’è vista: che aspettano lorsignori a farne una?