Diritti

Disabili uditivi, Coscioni (Radicali): “Il nostro Paese è ancora al livello del 2001”

Mancanza di servizi e di percorsi di cura uniformi. La lingua dei segni presenta parecchie criticità "perché ne esistono tante quante le città" spiega Giuseppe Gitti, del Centro di rieducazione ortofonica di Firenze. Nell'aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza - ancora non emanato come decreto dal ministero della Salute - non c'è la diagnosi precose

Non sono molti, ma i problemi che devono affrontare insieme alle loro famiglie sono numerosi. I bambini sordi che nascono ogni anno in Italia infatti sono circa 220 l’anno, pari a 0,4 ogni mille, per un totale di 23mila persone sorde. Tuttavia, anche se oggi ci sono tutti gli strumenti per consentirgli di vivere una vita piena, normale e integrata, non mancano le difficoltà da affrontare, a partire dalla mancanza di servizi e percorsi di cura uniformi in tutto il Paese. Una realtà, quella dei disabili uditivi, poco conosciuta e su cui si affollano spesso idee sbagliate, come è emerso anche al convegno “Verso gli Stati generali degli indicatori sociali della disabilità”, organizzato a Roma dall’esponente dei Radicali, Maria Antonietta Farina Coscioni.

“Nell’immaginario collettivo si pensa che i sordi siano tantissimi – spiega Giuseppe Gitti, del Centro di rieducazione ortofonica di Firenze – e invece sono molto meno. Il problema è che in questi ultimi anni ha preso piede una cultura che sostiene che la sordità non sia un deficit ma uno status, cioè che non debba essere curata, ma solo assistita con la lingua dei segni (o Lis-Lingua italiana dei segni, ndr). Ma il problema non è tanto la lingua dei segni, quanto la questione che c’è dietro, cioè l’affermazione della minoranza delle persone sorde, e della loro integrazione”.

Contrariamente a quello che ci hanno mostrato molti film, la lingua dei segni presenta parecchie criticità. “Di fatto esistono tante Lis quante sono le città italiane – prosegue Gitti – Inoltre è una lingua povera, che può contare su circa tre-quattromila vocaboli, non ha lo spelling né la doppia articolazione. Non si può dire che sia una lingua vera e propria ed è conosciuta da pochissime persone. Nessuno dei sordi sotto i 40 anni la conosce, così come i genitori di molti bambini non udenti, visto che il 95% di loro nasce in famiglie di udenti”. Il che significa, secondo l’esperto, che si spendono inutilmente moltissimi soldi per gli interpreti Lis che compaiono in alcune edizioni del telegiornale. “Secondo un calcolo che abbiamo fatto – continua – per lo Stato la spesa è di oltre 400 milioni l’anno”. Soldi che potrebbero essere spesi in altro modo secondo gli esperti, cioè  in servizi, spesso carenti, e in un protocollo nazionale che garantisca a tutti i sordi di frequentare la scuola e integrarsi nella società. Dove mancano i servizi infatti, i bambini sordi non riescono a vivere una vita sociale adeguata, come invece potrebbero. E in tema di servizi e presa in carico, c’è anche un altro problema non da poco. “La salute psicofisica della persona sorda e la diagnosi precoce – commenta Farina Coscioni – dovrebbero essere al centro della presa in carico da parte del servizio sanitario. Tuttavia nell’aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza (lea), realizzato dal ministro della Salute Balduzzi, ma non ancora emanato come decreto, la diagnosi precoce per la sordità è assente. Ciò significa che sulla disabilità il nostro Paese è ancora al livello del 2001”.

Ma qual è il percorso che si trova davanti un genitore con un figlio sordo? “Molto difficile – commenta Gitti – Intanto perché non esiste una diagnosi univoca di sordità profonda, e ogni specialista dice cose diverse dall’altro, e poi perché mancano i punti e i centri di riferimento. Così molte famiglie devono vagare per anni prima di ricevere l’aiuto giusto”. In realtà, il percorso ‘coretto’ vedrebbe appunto la diagnosi precoce (offerta da alcune regioni) e l’impiego di protesi acustiche o impianti cocleari: solo con questi due punti base si può procedere alla riabilitazione per la lingua orale. In questo modo si evita che il bambino nato sordo diventi anche muto.

Per far sì che la partecipazione dei sordi alla vita sociale diventi sempre più una realtà, l’associazione ‘Trames Ente culturale‘ sta lavorando insieme ad enti analoghi di cinque Paesi europei (Portogallo, Belgio, Francia, Inghilterra e Irlanda) per trovare delle metodologie condivise e far emergere, sulla base delle indicazioni che arriveranno dagli stessi sordi e dalle associazioni, degli indicatori sociali di benessere. “La sordità è un limite superabile. Bisogna trovare con gli altri Paesi il modo per rendere i sordi partecipi – chiarisce Virginia Ravaioli, vicepresidente di Trames – Con il progetto ‘Shape the change’ abbiamo avviato questo percorso per arrivare ad una definizione degli indicatori sociali di benessere da poter poi usare in ambito legislativo e culturale europeo”.