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Marò, il governo indiano esulta. Il primo ministro Singh: “Dignità tutelata”

Il ministro degli Esteri Khurshid ha voluto rimarcare il successo della diplomazia indiana spiegando ai microfoni delle tv locali che “la diplomazia continua a lavorare anche quando gli altri pensano sia tutto perduto”. Col rientro dei fucilieri, previsto per il tardo pomeriggio di venerdì, si torna sostanzialmente a un nulla di fatto

I marò stanno tornando in India. E la notizia, arrivata a notte fonda nel paese asiatico, è stata accolta come una grande vittoria della linea dell’intransigenza dettata dalla Corte suprema e seguita a ruota dal governo centrale: un successo politico dell’Indian National Congress (Inc), che peserà molto sugli esiti delle prossime elezioni nazionali, previste per il 2014. Il primo ministro Manmohan Singh davanti al Parlamento si è detto “felice che la dignità e l’integrità del processo giudiziale indiano siano state tutelate”. Anche il Barathiya Janata Party (Bjp), principale partito d’opposizione che negli ultimi giorni ha mosso durissime accuse di incapacità all’esecutivo indiano, è stato costretto a rimangiarsi tutto. Un portavoce del Bjp ha dichiarato: “Il modo in cui il governo ha portato avanti la propria manovra diplomatica sembra abbia funzionato. Anche la forte presa di posizione della Corte suprema sembra abbia dato i suoi frutti”.

Il ministro degli Esteri Khurshid ha voluto rimarcare il successo della diplomazia indiana spiegando ai microfoni delle tv locali che “la diplomazia continua a lavorare anche quando gli altri pensano sia tutto perduto”. Col rientro dei fucilieri, previsto per il tardo pomeriggio di venerdì, si torna sostanzialmente ad un nulla di fatto. Dopo dieci giorni burrascosi, ricomincia l’attesa per la prossima sentenza della Corte speciale. 

L’ennesimo colpo di scena del caso, che dura da quasi un anno, è arrivato ieri sera. I due militari, dopo un lungo confronto, sono stati convinti a rientrare. L’India, all’annuncio del mancato ritorno del permesso concesso per le elezioni, aveva esteso un regime di limitazione della libertà personale dell’ambasciatore Daniele Mancini proibendogli di lasciare il Paese fino a nuovo ordine.

La notizia era stata accolta in Italia con timido entusiasmo, con attestati di solidarietà ai due marò e parzialissime ricostruzioni di tutto l’iter legale che, in India, ancora non aveva raggiunto alcun verdetto se non l’esclusione dello Stato del Kerala dalla disputa legale. La Corte speciale che doveva essere nominata dal Chief Justice of India (il presidente della Corte suprema indiana) tramite consultazioni col governo, avrebbe dovuto dirimere due punti salienti lasciati volutamente aperti nella sentenza del 18 gennaio: la questione della giurisdizione – solo temporaneamente accordata all’India – e quella dell’immunità funzionale dei due marò a bordo dell’Enrica Lexie. Il 21 marzo una nuova nota del governo ribalta ancora la posizione italiana, spiegando che “a fronte di ampie rassicurazioni sul rispetto dei loro diritti fondamentali”, Girone e Latorre sarebbero tornati in India come da accordi.

Le nuove condizioni, come ha poi sottolineato il ministro degli Esteri Giulio Terzi, non sono state “strappate all’India”, essendo identiche a quelle di cui marò godevano già dal 18 gennaio: soggiorno presso l’ambasciata di New Delhi, libertà di movimento su territorio indiano. L’eventualità della pena di morte in realtà non era mai seriamente stata una possibilità plausibile in un sistema legale indiano che commina la pena capitale solo in casi di estrema gravità, cosiddetti “rarest of the rare”. Le ultime cinque sentenze capitali applicate in India, dal 1995 ad oggi, hanno “giustiziato” uno stupratore pedofilo e un serial killer indiano, un terrorista islamico pakistano e un presunto terrorista kashmiro. Il crimine commesso dai due marò, come ha ribadito il ministro degli Esteri indiano Salman Khurshid, non rientra nella casistica dei “rarest of the rare”. 

di Matteo Miavaldi