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Praga, Klaus e l’amnistia per i corrotti ai tempi del suo governo. “Alto tradimento”

Il Senato ritiene il provvedimento del presidente uscente anticostituzionale. A beneficiarne sono stati anche diversi imprenditori, manager e uomini d'affari coinvolti in casi di corruzione degli anni 90, quando lui era premier e ministro delle Finanze

Con otto voti di scarto il Senato della Repubblica Ceca ha votato la procedura per incriminare il presidente uscente, Vaclav Klaus, con l’accusa di tradimento. La camera alta, dominata dall’opposizione di sinistra, ha votato con 38 voti a favore e 30 contrari affinché la Corte Costituzionale si esprima sull’amnistia concessa dal capo di Stato, noto per le sue posizioni euroscettiche, in occasione del ventennale dell’indipendenza della Repubblica ceca lo scorso primo di gennaio. Il provvedimento di clemenza, ritenuto anticostituzionale, ha interessato circa 7mila persone rimesse in libertà o cui sono state condonante le pendenze penali. Una norma necessaria considerato il sovraffollamento delle carceri in cui nonostante una capacità di circa 20mila posti i detenuti sono 23mila.

A beneficiarne sono stati tuttavia anche diversi imprenditori, manager e uomini d’affari coinvolti in casi di corruzione che spesso vanno avanti dagli anni Novanta del secolo scorso, quando l’ex repubblica socialista affrontava la transizione verso l’economia di mercato. Un processo nel quale Klaus ebbe un ruolo di primo piano sia come premier sia, tra il 1989 e il 1992, come ministro delle Finanze dell’allora Cecoslovacchia. La condanna porterebbe alla destituzione di Klaus dalla carica di presidente. Poltrona che lascerà comunque in settimana per la scadenza naturale del proprio mandato, con l’incarico che sarà assunto dal ex primo ministro Milos Zeman, vincitore del ballottaggio dello scorso gennaio contro l’aristocratico conservatore Karel Schwarzenberg, entrambi europeisti a differenza del capo di Stato uscente.

Se condannato il 71enne politico conservatore non potrebbe più presentarsi alle elezioni e perderebbe il diritto alla pensione da 5mila euro al mese che gli spetterebbe come presidente emerito. Per lui quindi resterebbe al momento l’incarico al centro studi liberista statunitense Cato Institute del quale è già regolare ospite e collaboratore. Per l’opposizione, il voto non è stato una misura di rivalsa contro Klaus, ma necessario per chiarire regole che dovranno essere seguite anche in futuro. Secondo Petr Necas, primo ministro e presidente del Partito democratico civico di Klaus, la votazione è stata invece “un attacco alla reputazione del Paese”, ha detto citato dal Financial Times.

A differenza del suo omonimo e predecessore Vaclav Havel, la figura del capo di Stato uscente ha polarizzato l’opinione pubblica. Nel corso di dieci anni e due mandati il ruolo presidenziale, ricorda il quotidiano londinese, è passato dall’essere puramente cerimoniale a dettare l’agenda in particolare nel dibattito sull’Unione europea, sul riscaldamento globale sui diritti per gli lgbt. Alle accuse per il provvedimento di clemenza si sommano quelle di aver disatteso la Costituzione con il rifiuto a firmare la previsione aggiuntiva al Trattato di Lisbona che istituisce lo European Stability Mechanism, il cosiddetto fondo salva-stati e non procedendo alla nomina di alcuni giudici. Oltre all’incarico al Cato, in molti prevedono per il capo di Stato uscente un futuro da parlamentare a Strasburgo, dentro quelle istituzioni europee cui non ha risparmiato attacchi. La fine dell’esperienza al Castello di Praga il 7 marzo potrebbe non essere l’uscita definitiva. Al contrario Klaus potrebbe avere addirittura una maggiore influenza politica, scrive il settimanale Respekt. D’altronde già in passato era stato dato per finito ed è poi tornato. Ma al momento i ceci sembrano essersi stancati di lui.

di Andrea Pira