Economia & Lobby

Grecia, le multinazionali fanno affari ma tagliano stipendi e indennità

La riduzione del costo del lavoro, dopo il memorandum della troika e la diminuzione di fatto dei diritti per i lavoratori, avvantaggia solo i grossi nomi che entrano o ritornano nel paese per investire, ma di fatto risparmiando sulla forza lavoro pagata con salari bulgari e con un mercato dai prezzi milanesi

Mentre il mercato greco si restringe per la crisi, (la gente non spende più) i prodotti delle multinazionali si “allargano” e fatturano numeri significativi. La riduzione del costo del lavoro, dopo il memorandum della troika e la diminuzione di fatto dei diritti per i lavoratori, avvantaggia solo i grossi nomi che vanno in Grecia per investire, ma di fatto risparmiando su stipendi e indennità che la troika ha provveduto a tagliare. Quattro i casi più significativi. La Kraft Hellas AE è una filiale della multinazionale Mondelez internazionale (fino a poco tempo denominata Kraft Foods), che domina il mercato europeo per il cibo da spuntini. Ha recentemente annunciato, dopo gli otto milioni complessivi investiti nell’ultimo lustro, una nuova esposizione in Grecia per cinque milioni a partire dal 2013. Proprio quando entreranno in vigore i nuovi contratti di lavoro contenuti nel memorandum lacrime e sangue che il Parlamento ellenico ha approvato in una lunga notte di passione, dove di fatto sono stati falciate indennità di malattia e quantum di stipendi e scatti.

Anche l’Hellas Unilever ha annunciato che intende avviare la produzione in Grecia di trenta nuovi prodotti, e due giorni fa ha presentato il piano commerciale al mercato greco. Ancora: Procter & Gamble ha annunciato la creazione del Centro per la Ricerca e l’Innovazione di Atene, il terzo sistema operativo d’Europa. Pochi giorni fa la Johnson & Johnson ha annunciato che continuerà a investire nel mercato greco. In effetti il noto marchio ha in Grecia uno dei tre poli europei utilizzati quasi esclusivamente per l’esportazione. La società dà lavoro in Attica a duecento dipendenti, anche se non ha ancora specificato la quantità di investimenti. Il caso di Johnson & Johnson è particolarmente rilevante se si considera che il 95% della produzione è esportato in altri paesi europei e ha scelto la Grecia come base di produzione proprio perché oggi al centro dell’Egeo una multinazionale “risparmia” sui diritti dei lavoratori.

Infine il caso della Henkel uno dei più grandi gruppi tedeschi che ha deciso di ripristinare la produzione dei propri prodotti in Grecia. La società è stata “assente” dal mercato greco dal 2011 al 2012 dopo che il marchio Alapis, per via della crisi, aveva spostato la produzione in Italia. Ma dallo scorso mese di settembre i prodotti tedeschi sono stati recuperati dalle società Henkel Hellas SA e Rolco Vianyl Souroulidi. Nello specifico l’accordo di produzione di detersivi e prodotti di pulizia prevede che Henkel Hellas detenga più di 50 marche tra Dixan, Neomat e Bref, con una produzione annua di circa sette milioni di unità, che corrisponde al 75% delle vendite annuali della società nel settore. L’accordo prevede anche la produzione di ulteriori 2,5 milioni di unità degli stessi prodotti per le necessità della Henkel a Cipro e per un totale di trenta milioni di euro.  

Così se da un lato si iniziano a vedere i primi frutti del riservatissimo briefing che la cancelliera Angela Merkel tenne in occasione della sua visita ad Atene lo scorso ottobre con i grandi gruppi tedeschi seduti allo stesso tavolo con banchieri e imprenditori ellenici, dall’altro non si può non osservare come dal memorandum in poi, quegli investimenti delle multinazionali non si traducano in benefici per il territorio, ma esclusivamente per i grandi gruppi che incassano di più perché tagliano alla voce diritti. Il memorandum, prestando dei soldi allo stato, ha aperto delle falle nei diritti, perché oggi le aziende (oltre che il pubblico impiego) possono assumere personale a 500 euro al mese (un insegnante universitario al primo incarico nel prende 650, un dipendente di banca 550) , tagliando tranquillamente le indennità sia di malattia che di straordinari. Quindi chi ci guadagna non è il cittadino greco che se assunto ha uno stipendio misero, ma proprio le multinazionali che investono in Grecia senza ricadute sul territorio. E il tutto col cappello del grande salvataggio greco che non ha salvato un bel niente (se non la ricapitalizzazione bancaria), perché di quei soldi che le aziende straniere fatturano in Grecia, lì non rimane nulla. E quando manca appena un mese dalla prima tranches di licenziamenti, 15mila impiegati pubblici a casa dal primo marzo. Si attraggono investimenti stranieri? Certo, ma perché invogliati dai salari bulgari di gente che poi si confronta sul mercato con “prezzi milanesi”. 

Il tutto accade nei giorni  in cui il maxiemendamento fiscale a medio termine 2013-2016, presentato in Parlamento dal Ministro delle Finanze Stournaras, lascia aperta la possibilità di intervenire con nuove misure, e mentre un nuovo scandalo sembra passare inosservato tra i media ellenici. Il canale televisivo francese France2 documenta la svendita a una società canadese di trecentomila ettari di foresta nella regione settentrionale della Calcidica per la simbolica cifra di un euro: dove in quel sottosuolo abbonderebbero oro e minerali di vario genere. Per questo, ma non solo, Antonis Karakousis, primo editorialista del popolare quotidiano To Vima si chiede : “C’è un rischio Weimar per la Grecia post memorandum? Dove l’instabile equilibrio tra politica ed economia è minacciato dal declino della classe media e dalla miscela di estremismo e populismo”. E dove i neonazisti di Alba dorata, nell’ultimo sondaggio, hanno ufficialmente sfondato per la prima volta quota 11%. 

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