Politica

Perché è già finita la campagna elettorale

E’ l’evento choc per eccellenza, la tempesta perfetta si abbatte sulla campagna elettorale svuotandola di ogni carisma e capacità pervasiva. Le dimisioni di Papa Benedetto sono un gesto di tale portata rivoluzionaria, perché uniche nella storia degli ultimi otto secoli, che di per sé valgono a coprire e annullare mediaticamente nel mondo ogni altro tipo di evento pubblico. Figurarsi in Italia, la cui capitale è sede del Papato, con quanta forza una scelta così contro corrente si svilupperà dividendo oltre le gerarchie ecclesiastiche anche la società civile.

La campagna elettorale perde anzitutto il primato della visibilità televisiva proprio quando tutti i protagonisti politici – eccetto Beppe Grillo – destinavano alla televisione, l’unico media capace di trasformare le simpatie in voti, ogni interesse e ogni utile approdo. Proprio l’amatissima televisione in questa circostanza è divenuta l’unico sportello informativo, l’unico e ultimo palco per i comizi. E anche qui per due ottimi motivi. Il primo: è la prima campagna che si svolge d’inverno, nel periodo più freddo. In queste ore ben undici regioni hanno vietato la circolazione dei tir; in tre ieri sono rimaste chiuse le scuole, in altre sei si attendono abbondanti nevicate. Le temperature gelate si sovrappongono all’altro gelo: quello che accoglie i partiti tradizionali e i loro leader, la sfiducia che coglie gli italiani circa i rimedi proposti, le alleanze possibili di governo, le facce in campo.

Silvio Berlusconi, per esempio, ha quasi del tutto abbandonato la cartellonistica stradale, il suo volto è scomparso dai muri. Restano visibili le mani, immortalate mentre stringono altre, ma è già un significativo indietreggiamento. E comunque poca cosa. Ha poi eliminato quasi del tutto le convention, un must dei tempi andati, perché l’aria che tira non permette atti di così grande coraggio. E’ di pochi giorni fa l’immagine delle molte sedie rimaste vuote quando il leader di Forza Italia si è intrattenuto più a lungo al microfono. Era l’ora di pranzo, e in tanti hanno scelto a lui le fettuccine al ragù.

Anche la campagna di Pierluigi Bersani, che pure prevede quotidiani incontri con gruppi di elettori, sfila via senza mai intercettare grandi masse di fans. Facile dire il perché: non ci sono più. Le piazze si riempiono a fatica ed è meglio deviare verso gli auditorium. L’unico grande appuntamento pubblico è stato quello di Firenze: ma quella era la casa di Matteo Renzi l’acchiappapopolo, e fa storia a sé. Gli altri, Mario Monti in primis, hanno gli stessi problemi, aggravati dall’ulteriore deficit di organizzazione. Quindi, e per tutti e tre i pretendenti alla corona: piazze vuote e talk show pieni. E c’era un perché.

Da oggi però il tema elettorale seguirà quello vaticano, la cessazione dalla carica di Benedetto XVI è fissata alle ore 20 del 28 febbraio, ben oltre il week end di voto. A rimetterci saranno loro tre anzitutto. E tra i tre la crisi papale mette più in difficoltà gli inseguitori, quindi e per primo Silvio Berlusconi. La rimonta, per essere percettibile, deve trovare il massimo respiro mediatico. Ogni giorno una prima pagina, ogni sera e ogni mattina un incontro televisivo, un duello, persino una boutade. Sarà possibile per il Cavaliere godere di tali riguardi? Per Berlusconi anzi le dimissioni di Benedetto XVI comporteranno un assillo ulteriore perché faranno riflettere sulla natura incoercibile della vecchiaia. Nessun Papa si era finora dimesso per raggiunti limiti d’età. E l’atto reca in sé un pensiero traslato, una riflessione conseguente: la gerontocrazia è il male della classe dirigente. Berlusconi è il leader più anziano, già vicino agli ottanta. Anche il professor Monti ha superato i settanta, è nonno felice, era stato infatti chiamato a fare la riserva della Repubblica…

Le dimissioni del Papa possono produrre gli stessi effetti, se è lecito il paragone, che nel campionato di Formula uno causa l’ingresso in pista della safety car: le posizioni sono cristallizzate, si avanza adagio e il terzo non può superare il secondo pilota, il secondo non può permettersi di insidiare il primo. In questo caso, se i sondaggi non burlano, il primo pilota si chiama Bersani. Che ha cercato per tutta la campagna elettorale di avanzare sotto traccia, evitare i competitori, tenerli a distanza, ridurre al minimo contatti ed errori. Ma Bersani può godere, ora che si avvicina la data delle elezioni, di un altro possibile bonus che va sotto il nome di voto utile. Le dimissioni del Papa, così improvvise e drammatiche producono disorientamento, paura per il nuovo, l’ansia di capire come sia stato possibile e cosa succederà adesso. La sede di San Pietro vacante aggiunge e non toglie una naturale apprensione per i possibili esiti del voto: un Parlamento diviso e inconcludente, con un capo dello Stato in scadenza e un governo incapace per la sua presunta futuribile debolezza di condurre l’Italia fuori dalla crisi. Non una ma tre sedie vuote a diversi livelli hanno la forza di deviare l’attenzione verso un atto che ponga riparo all’ulteriore possibile crisi. Quindi, se ciò ha un senso, la valutazione di esercitare in piena libertà il nostro voto verrà da noi stessi compressa. A farne le spese saranno i partiti più piccoli di destra e di sinistra (e qualche segnale raggiungerà presto anche i capi dei partiti centristi) che assisteranno a una possibile transumanza verso i poli con maggiori possibilità di vittoria. E anche qui: la coalizione data vincente attrarrà più voti di quella apparentemente perdente. Si rischia di andare a votare con le urne già virtualmente chiuse.