Ambiente & Veleni

Fracking, interroghiamo i nostri politici

Come sono bizzarre queste elezioni italiane, in cui ogni giorno c’è un partito nuovo, una legge nuova, una primaria nuova. In tv dicono tutti le stesse cose, ma sul tema ambiente non si sente fiatare una mosca. Neanche l’Ilva e la sua bonifica fanno più audience.

Parallelamente, il 6 gennaio è stato pubblicato un bellissimo op-ed da Bill McKibben, sul Los Angeles Times.

Bill McKibben è il fondatore di 350.org che spende buona parte del suo tempo per lottare contro i cambiamenti climatici e tutto quello che c’è in mezzo – inclusi i petrolieri.

Il movimento prende il nome dal fatto che secondo il climatologo Nasa James Hansen, direttore del Goddard Institute for Space Studies a New York City, qualsiasi concentrazione di CO2 oltre il livello di 350 parti per milione è considerato dannoso al pianeta. Dice Hansen “If humanity wishes to preserve a planet similar to that on which civilization developed and to which life on Earth is adapted, paleoclimate evidence and ongoing climate change suggest that CO2 will need to be reduced from its current 385 ppm to at most 350 ppm, but likely less than that.” (Se l’umanità vuole preservare un pianeta simile a quello in cui si è sviluppata  la civiltà e a cui si è adattata la vita sulla Terra, i dati paleoclimatici e il cambiamento climatico in corso suggeriscono che la CO2 dovrà essere ridotta dagli attuali 385 ppm ad un massimo di 350 ppm, ma probabilmente anche inferiore a questi)

Bill Mc Kibben vive Vermont e prima di fare l’attivista faceva il giornalista. Nel Vermont non trivellano, il fracking è vietato ed è uno stato liberale, progressista, in cui la vita scorre tranquilla. Eppure questo signore dalla voce pacata a un certo punto ha deciso di fare l’attivista per davvero, andando in giro per l’America a predicare sui cambiamenti climatici, organizzando marce, eventi di sensibilizzazione e proteste di ogni genere. E’ stato anche arrestato durante le proteste contro la costruzione del Keystone XL Pipeline che doveva portare il petrolio semilavorato dalle Tar Sands del Canada negli USA assieme a Darryl Hannah e anche ad alcuni frati francescani. La questione è ovviamente ancora aperta e ci sarà un’altra manifestazione nazionale in febbraio alla Casa Bianca.

Una delle ultime campagne di Bill McKibben e di 350.org è proprio contro le fonti fossili, i principali responsabili dei cambiamenti climatici, come ormai riconosciuto all’unanimità da tutti gli istituti di scienza del mondo e dalle associazioni di settore internazionali, inclusi quelle che fanno capo ai petrolieri. McKibben chiede alle università Usa di non investire più nell’industria fossile, come fatto a suo tempo con il boicottaggio dei prodotti del Sud Africa per combattere contro l’apartheid.
Sarà un lavoraccio, occorrerà il supporto del corpo docente, degli studenti e non si sa neanche se ci riusciremo. Per ora ci sono 100 gruppi studenteschi a chiederlo in tutta l’America.

Chi glielo fa fare a Bill McKibben? Non lo so, ma credo che sia per un ideale, per senso del dovere, per la voglia di spendere il proprio tempo facendo cose più grandi che se stessi.

Il suo editoriale parla delle leggi della fisica che proseguono inesorabili – che noi lo vogliamo o no, che i nostri presidenti e politici agiscano o no, che noi agiamo o no – mentre siamo qui impantanati che tergiversiamo sul da farsi, mentre i signori del petrolio continuano ad incassare sul patrimonio naturale, sull’ambiente, sulla salute di tutti.

Il 2012 per dirne una, è stato uno degli anni più caldi sul pianeta, ci sono state siccità e perdite di ghiacciai spaventosi, e qui negli Usa il mostruoso uragano Sandy, una cosa mai vista prima a New York – tutto per colpa dei cambiamenti climatici checché ne dicano i negazionisti.

Bill Mc Kibben dice che non possiamo più aspettare nessuno e che occorre prendere la situazione in mano noi stessi, mettendo pressioni a chi ci governa in modo che facciano tutto quello che si deve fare, e di più, a partire da Obama e a seguire con tutti gli altri. E’ per questo che l’editoriale finisce con “We also need you“. Questa battaglia – contro il pozzo sotto casa se la si vuole vedere cosi, o contro la distruzione del pianeta se vogliamo guardarla più in grande – ha bisogno di tutti noi, e non la si vince restando passivi, facendo gli spettatori, facendo il tifo per me o per l’Eni o mettendo “like” su Facebook.

Si vince ciascuno cercando di fare quello che può in prima persona, con i piccoli e grandi comportamenti nella vita reale, informandosi, facendo le domande difficili, non rassegnandosi a che i trivellanti debbano vincere. Occorre fargli capire che siamo di più noi, che lo vogliamo veramente e occorre sentirsi parte interessata da nord a sud, senza pensare che siccome succede in un posto lontano non ci riguarda. Sono battaglie per la vita.

Io li leggo, li vedo tutti i commenti e i tentativi propagandistici dei pro-trivellanti – dal delirante Corrado Passera e delle sue “trivelle sostenibili”, dagli articoli dalla matematica dubbia della Stampa dove si celebrano gli 11 milioni di barili di petrolio prodotti in Italia all’anno – equivalenti ad una settimana di fabbisogno nazionale –  a Rocco Papaleo al festival di San Remo,  tutti che cercano di passare il messaggio che trivellare è cosa buona e giusta e che tutto si può fare in rispetto per l’ambiente.

Non è vero niente. Adesso in Italia c’è la campagna elettorale. Andiamoci agli incontri dei politici, e cerchiamo di avere il coraggio di farle le domande, domande secche, senza possibilità di mala comprensione, in modo semplice, e non emotivo ma razionale: “Lei che ne pensa delle trivellazioni offshore in Italia?”  “Lei che ne pensa delle trivellazioni in terraferma?” “Lei che ne pensa dello stoccaggio in territori sismici”? “Lei che ne pensa di una legge preventiva che vieti il fracking in Italia come fatto in Francia?”

Esigiamo risposte chiare. Se si arrampicano sugli specchi, richiamiamoli. “Scusi, lei non ha risposto alla domanda. Gliela rifaccio. Che ne pensa lei delle trivelle offshore in Italia?” Se fanno promesse, ricordiamoglielo. Osiamo, rompiamo le scatole, stiamogli alle costole, senza paura.  Qui direbbero “let’s keep them accountable”.

Se nessuno osa incalzarli, niente cambierà mai. E questo vale per l’ambiente e – visto un po più in grande – vale per la nostra democrazia. We also need you.