Società

Imprenditori suicidi, più richieste di aiuto al “telefono amico” veneto

Confartigianato: “Con il passare del tempo la situazione non tende a migliorare. Le istituzioni fanno finta di non vedere, noi viviamo in prima persona i disagi quotidiani, mentre i politici sembrano non essere interessati”

Quattro suicidi hanno chiuso il 2012 in Veneto, di imprenditori ma non solo. Piccoli e grandi industriali, ma anche giovani e operai, hanno deciso di farla finita. E la crisi economica è stata una delle cause. Due giorni prima di Natale, dopo che il suo capannone era andato in fumo a causa di un incendio, si è suicidato Bruno Di Lenardo, 52 anni padovano, a capo di una nota azienda ortofrutticola con più di 135 anni di storia.

Nell’agosto del 2011, in una lettera inviata al Corriere, raccontava così tutta la sua rabbia: “Caro Direttore, come molti imprenditori della mia generazione (cinquantenni) sono molto preoccupato particolarmente per le generazioni future – scriveva l’imprenditore padovano – Parlando di aziende ritengo – ed è lo sfogo di gran parte degli imprenditori del laborioso Nordest – che esse siano state abbandonate a se stesse, vera e propria carne da macello ormai ridotta all’osso”.

Ora in Veneto si cerca di reagire, anche se la situazione economica stenta a ripartire. “Purtroppo con il passare del tempo la situazione non tende a migliore, anzi: le richieste di aiuto aumentano”, spiega Stefano Zanatta, presidente della Confartigianato AsoloMontebelluna, che ha attivato nel marzo scorso il centro d’ascolto per imprenditori “Life Auxilium, assieme ad altri enti tra cui la Caritas. Un numero verde (800.130.131) al quale chiamano imprenditori in difficoltà economica anche da fuori regione (Bologna, Torino, Roma, Napoli). Imprenditori che si fidano di altri imprenditori per superare la crisi economica.

Le richieste giunte al call center hanno tutte la stessa matrice: impossibilità di ricorrere al credito per far fronte a debiti e verso il fisco; difficoltà di riscossione crediti verso privati e verso gli enti pubblici; coinvolgimento di familiari nel garantire affidamenti bancari, disagi psicologici connessi alle difficoltà aziendali segnalate prevalentemente da familiari, difficoltà a sostenere spese primarie (cibo, trasporti, affitti). A tutti il sistema creditizio locale e nazionale ha girato le spalle.

Dopo ogni chiamata è prevista l’attivazione di tutte le reti locali possibili al sostegno (Ulss, Servizi sociali dei Comuni, Caritas e parrocchie), ma il progetto prevede anche la sensibilizzazione dell’Agenzia delle Entrate ed Equitalia. E’ stato creato un gruppo di lavoro formato da operatori, psicoterapeuti, uno psicologo (messo a disposizione dall’Ulss n. 8) e consulenti tecnici per la parte economico-finanziaria. Nel 2012 sono stati circa 150 gli imprenditori in difficoltà che hanno chiesto aiuto. Quarantacinque i casi che il progetto trevigiano sta seguendo, 105 quelli rinviati ad altri enti. Gli imprenditori che chiamano sono per lo più del settore edilizia, arredamento e trasporti.

“Subito ci attiviamo con gli psicologi, ma poi è necessario affiancare agli imprenditori anche commercialisti ed esperti – prosegue Zanatta, che con tre soci gestisce un’azienda di abbigliamento nel trevigiano – Dopo un’attenta valutazione del bilancio in alcuni casi abbiamo anche accompagnato l’impresa alla chiusura definitiva: per un imprenditore sembra un controsenso, ma ci ringraziano ancora”. Per far fronte alla spese del progetto, i piccoli imprenditori trevigiani si sono autotassati (“Per noi è diventata una missione”). Assente, se si esclude la Provincia di Treviso, è la politica: “Le istituzioni fanno finta di non vedere, noi viviamo in prima persona i disagi quotidiani, mentre i politici sembrano non essere interessati”, prosegue l’imprenditore, che invita a replicare anche in altre realtà italiane l’esperienza trevigiana.