Politica

Sicilia, l’anno della svolta: dall’imputato Lombardo al minacciato Crocetta

L'avvicendamento al vertice della Regione è stato il culmine di un 2012 che, vent'anni dopo le stragi di capaci e via D'Amelio, ha stravolto il panorama politico dell'isola. Il ritorno di Orlando a Palermo e i 15 neodeputati regionali dei Cinque Stelle. Ma il "gattopardismo" è sempre in agguato

Da un governatore imputato per mafia a uno scortato per le minacce ricevute da Cosa Nostra. Dall’Assemblea Regionale Siciliana più inquisita della storia, alle biciclette con cui i quindici deputati del Movimento Cinque Stelle si recano a Palazzo dei Normanni, dove il movimento di Beppe Grillo è diventato la prima forza politica dell’isola. In mezzo le occupazioni dei Forconi, unico movimento della storia recente in grado di bloccare davvero un’intera regione per più di una settimana, salvo poi liquefarsi quando camionisti e agricoltori hanno voluto abbandonare le piazze per provare a darsi alla politica.

Non sarà forse la terra delle rivoluzioni epocali e repentine, ma nel 2012, a vent’anni esatti dalle stragi di Capaci e via d’Amelio, il volto della Sicilia è in ogni caso cambiato. Un cambiamento a tratti dal sapore antico quello avvenuto sull’isola degli alambicchi e dei laboratori politici in chiaro scuro, che è forse sintetizzabile con un’istantanea: il ritorno plebiscitario di Leoluca Orlando alla guida della città di Palermo, ventisette anni dopo la prima elezione a sindaco. Sono forse state le amministrative di maggio lo spartiacque degli ultimi dodici mesi siciliani. Un turno elettorale importante in chiave di assetti nazionali che ha avuto due effetti: da una parte lo schianto del Pdl, che dopo anni passati a fare il pieno alle urne, si è infranto a quota dieci per cento, dimezzando le preferenze rispetto al passato e perdendo tutte o quasi le città amministrate sull’isola.

Ma dall’altra parte, se il centrodestra ha accusato il colpo di dieci anni di potere a base di clientelismo e malapolitica, sulla sponda opposta il centrosinistra siciliano è stato ad un passo dall’implosione. Troppo profonde le divisioni interne tra ex comunisti ed ex democristiani dentro il Pd isolano, troppo frequenti i colpi sotto le cintura e le velenose stilettate tra le varie correnti siciliane del partito di Pierluigi Bersani. Per troppo tempo i democratici si sono “azzuffati” intorno ad un unico argomento: l’alleanza al governatore Raffaele Lombardo. Un nodo pirandelliano, dato che l’appoggio all’ex presidente indagato e poi imputato per concorso esterno a Cosa Nostra era sponsorizzato fortissimamente dal senatore antimafia Beppe Lumia, ma era invece stato ostacolato da democratici come Mirello Crisafulli, che quando Francesco Forgione – oggi in Sel – gli chiese numi riguardo le sue frequentazioni con i boss mafiosi, rispose: “Semplicemente il mio concetto di legalità è più elastico del tuo”.  

Il discusso appoggio a Lombardo ha di fatto spaccato in due il Pd siciliano, facendo da casus belli alle velenosissime primarie per la scelta del candidato sindaco di Palermo. Alla fine Rita Borsellino, la candidata ufficiale di Bersani, era stata battuta dall’outsider Fabrizio Ferrandelli, ex golden boy di Leoluca Orlando e poi sponsorizzato dallo stesso Lumia. Con un mossa da scacchista consumato, però, proprio l’ex sindaco aveva alla fine scelto di candidarsi per la quinta volta alla guida della città. E alle urne Orlando aveva sbancato, riuscendo a fare eleggere ben 30 consiglieri comunali di Italia dei Valori su 50: il canto del cigno per il partito di Antonio Di Pietro, da lì a poco sprofondato nei sondaggi e nella consistenza.

E se alle amministrative palermitane il Movimento Cinque Stelle si era fatto segnalare soprattutto per l’infelice frase di Beppe Grillo (“La politica strangola, la mafia no”) non riuscendo a superare lo sbarramento, nessuno avrebbe immaginato l’exploit di pochi mesi dopo, quando gli attivisti del movimento sono riusciti a far eleggere ben quindici deputati all’Ars, grazie anche il “pasticcio” del certificato elettorale che aveva gettato fuori dalla corsa Claudio Fava.

Le elezioni regionali, indette in anticipo per le dimissioni di Lombardo, sono state certamente una sorta di prova generale per le politiche di febbraio: grazie a un astensionismo record (per la prima volta più di un elettore su due non è andato a votare) gli appena seicentomila voti raccolti da Rosario Crocetta hanno garantito all’ex sindaco di Gela la sedie più alta di Palazzo d’Orleans. Una vittoria dal sapore agrodolce come nella migliore delle tradizioni siciliane, perché nonostante Crocetta si sia fatto conoscere per le sue battaglie antimafia (e dopo due presidenti accusati di contiguità a Cosa Nostra come Cuffaro e Lombardo, non è un segnale da poco) ad accompagnarlo nella corsa a governatore c’è pur sempre l’Udc, proprio il partito che fu di Cuffaro e Lombardo e che adesso schiera Nino Dina e Giuseppe Sorbello, eletto deputato e subito indagato per voto di scambio con Cosa Nostra: come dire, cambiare tutto per non cambiare nulla. O al massimo cambiare appena un po’.