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Falkland-Malvinas, riscoppia la “guerra fredda”: “Il colonialismo è finito”

La presidente Kirchner fa pubblicare una lettera su alcuni quotidiani inglesi reclamando le isole dell'Atlantico. Cameron risponde che "farà di tutto per proteggere gli abitanti". A marzo c'è il referendum e i sondaggi danno in vantaggio le preferenze per Londra

Botta e risposta fra due leader di due Paesi che 30 anni fa fecero una guerra per alcune isole dimenticate, almeno fino ad allora, in mezzo all’Oceano Atlantico. A 180 anni esatti da quello che in Argentina chiamano “il furto delle Malvinas”, la presidente del Paese sudamericano, Cristina Fernandez de Kirchner, ha fatto pubblicare una lettera sul Guardian e su altri giornali britannici, reclamando a sé e all’Argentina le Falkland-Malvinas e lanciando un appello “per la fine del colonialismo”. Ma, in tutta risposta, poche ore fa il primo ministro David Cameron ha fatto sapere: “Farò di tutto per proteggere gli interessi degli abitanti delle Falkland”. Che, a marzo, si esprimeranno con un referendum per l’appartenenza o meno al Regno Unito, consultazione che ogni sondaggio dà a favore di Londra. E alla risposta di Cameron si è aggiunta, oggi, anche quella dell’Fco, il Foreign and Commonwealth Office, che ha replicato: “Quelle isole erano vuote e disabitate nel 1833, quindi la nostra ‘presa in carico’ è stata più che legittima”. Poco importa se nella lettera ai quotidiani inglesi la Kirchner abbia scritto che gli inglesi scacciarono coloni e militari argentini. La guerra virtuale è anche una battaglia di opinioni che diventano fatti e di fatti dalle molteplici versioni.

“Il Regno Unito rispetti la risoluzione del 1960, contro il colonialismo, delle Nazioni Unite, e quella del 1965 contro l’occupazione delle Malvinas”, ha scritto oggi la presidente argentina. Una donna ora chiamata dai principali quotidiani britannici, Guardian compreso, “populista”. “Deve finire questo colonialismo da diciannovesimo secolo, deve finire in tutte le sue forme e manifestazioni” ha aggiunto Kirchner. Eppure, il referendum, è al centro della politica britannica sulle Falkland-Malvinas. “Lasciamo che decidano gli abitanti di queste isole. E gli argentini dovranno rispettare il risultato della consultazione”, fanno sapere, ai piani alti, da Londra. La presidente argentina, tuttavia, nella sua lettera di oggi, ha usato pure l’ironia. “Queste isole sono a 8.700 miglia da Londra e la Marina britannica scacciò nostri connazionali da un territorio argentino”. Come a dire, che se ne farà mai il Regno Unito di questi “scogli” in mezzo al mare? In realtà, c’è chi parla di immensi giacimenti di petrolio e gas naturale, per non parlare delle risorse ittiche dell’Oceano e dell’importanza strategica nelle rotte verso l’Antartico. I motivi delle tenacia di Londra, che vanno di pari passo con l’orgoglio britannico, sono quindi noti ai più. E la comunicazione “non detta e non scritta” fra Argentina e Regno Unito li conferma ogni volta.

Ma la “scaramuccia” sui quotidiani arriva anche a pochi giorni da un’altra mossa britannica che ha fatto andare su tutte le furie gli argentini. C’è voluto un atto del parlamento di Westminster per nominare un enorme territorio del continente antartico “Queen Elizabeth Land”. Un territorio vicino all’Argentina, da essa reclamato e che ora avrà proprio il nome della regina Elisabetta. Poco importa se la stampa britannica ora stia scrivendo che “è solo un enorme pezzo di terra ghiacciato”. L’Argentina ha visto questa nuova mossa come un’invasione di campo, a poche migliaia di chilometri da casa. Una guerra che è fatta anche di simboli e di nomi – come il doppio nome dato alle isole, Malvinas e Falkland, conferma – e anche di non meglio precisate minacce, vicendevoli, di ritorsioni. “La causa delle Malvinas è sostenuta da tutta l’America Latina”, ha scritto oggi la presidente argentina. Come a dire che boicottaggi e pressioni diplomatiche sono sempre dietro l’angolo.