Società

L’anno che verrà

Ho sempre amato la Vigilia di Natale. Tutta la preparazione, lo spostarsi con vettovaglie e regali a casa di mia zia, il lungo pomeriggio in attesa della cena, gli abbracci, i regali che aumentavano sotto l’albero e mia nonna Angela nella sua sedia a guardarci trafficare, un po’ sempre persa altrove, in quel suo mondo antico e lontano di cui noi eravamo frutto e non protagonisti. Noi le andavamo vicino e lei ci metteva una mano sulla testa. Una mano tremante e con gli occhi fissi e dolci ci scrutava e poi ci lasciava una carezza.

Credo di essere ciò che sono anche per questi Natali, per l’appartenenza a una famiglia umile ma orgogliosa, onesta e lavoratrice, e trapuntata d’amore come una galassia di stelle.

Nessuno stupore che, come spesso di recente capita, tutto ciò mi manchi immensamente quando il mio Natale è a New York, lontana da tutti loro.

Ma il Natale e il nuovo anno sono anche e, soprattutto, stati dell’animo, in cui si possono fare bilanci, esprimere desideri e prendere decisioni per l’immediato futuro.

Cinque anni fa, di questi tempi, feci una scommessa con me stessa. Senza nessuna sicurezza, senza nessun appoggio e nessuna prospettiva mi trasferii’ a New York. La prima settimana la passai in casa a piangere perché avevo paura. Paura soprattutto di morire in assoluta solitudine.

In cinque anni, fra immani difficoltà, ho ritrovato me stessa. I miei sogni, le mie speranze e la voglia di vivere l’anno che verrà.

Ho il privilegio di scrivere questo blog (dove non si scrivono “articoli” ma pensieri personali) e di avere “incontrato” persone che sento come degli amici, Zar e Vera per tutti. Anche chi mi contesta sempre. Sapere che ciò che io scrivo viene letto, è un privilegio di cui vi ringrazio.

Per questo, oggi, mentre mi accingo a cucinare per un piccolo gruppo di amici, provando a ricostruire almeno parte della magia dei “miei” Natali, volevo fare gli auguri sinceri a tutti voi. E all’Italia che vorrei risollevasse la testa e tornasse a sognare e far sognare.

Spesso mi si dice che non posso più parlare dell’Italia perché l’ho lasciata. Sorrido. E’ come dirmi che non posso più parlare o interessarmi dell’uomo che è stato il grande amore della mia vita e tale resterà anche se le nostre strade, per ragioni diverse, si sono separate.

Auguri a tutti, dunque. Perché tutti possiate tornare a sperare. Davvero. Che la parte migliore di questo paese, quella fatta di tante famiglie “Vitaliano”, possa prendere finalmente il sopravvento e spernacchiare tutti gli altri.

E alla mia famiglia, alla tribù vasta di cugini, zii, amici, parenti vari e affini, il mio più sincero, affettuoso e commosso grazie per essere sempre, in ogni momento, la mia roccia.