Elezioni 2013

Elezioni, salta il decreto firme: solo 80 senatori in aula, si rivota il 28 dicembre

Il provvedimento riduceva a un quarto le sottoscrizioni necessarie ai nuovi partiti per presentare le liste alle elezioni. Ma la Lega nord ha fatto invalidare la votazione per mancanza del numero legale. Schifani convoca una seduta dopo Natale: "Amareggiato che la legislatura finisca così"

La Lega nord “blocca” in Senato il “decreto firme” perché, in quella che doveva essere l’ultima seduta della legislatura, in aula mancava il numero legale al momento dell’approvazione. E il presidente del Senato Renato Schifani si è visto costretto a convocare una nuova seduta dopo Natale, il 28 dicembre. Schifani si è detto “molto amareggiato”, perché, ha spiegato, “speravo che l’esito finale di questa legislatura non fosse così”. Ma “apprezzate le circostanze e la palese evidenza che il Senato non è in grado di garantire il numero legale, io aggiorno la seduta al 28 dicembre alle ore 15”. In aula erano presenti soltanto 80 senatori sui 315 eletti e 5 a vita.

Anche il Consiglio dei ministri è stato convocato per il 22 dicembre intorno alle 16. Secondo fonti di governo all’ordine del giorno ci potrebbe essere anche una nuova versione del dl “tagliafirme”.

Il decreto è fondamentale per indire le nuove elezioni, perché fissa le nuove regole per partiti e movimenti che intendono presentare i propri candidati per il Parlamento. L’improvviso precipitare della crisi di governo ha infatti fatto emergere il problema dei nuovi contendenti, tra i quali i 5 stelle di Beppe Grillo reduci da notevoli successi alle amministrative, che in poco tempo avrebbero dovuto raccogliere le 60mila firme previste dalla legge in caso di elezioni anticipate. 

Il testo approvato in Senato riduce a un quarto le firme necessarie per la presentazione delle liste e cancella la norma che esentava dalla raccolta i gruppi parlamentari già costituiti nel corso della legislatura. Ma, appunto, a votazione avvenuta la Lega nord ha sollevato la questione del numero legale, invalidando l’approvazione e costringendo il Senato a una nuova seduta.