Giustizia & Impunità

Trattativa Stato-mafia, respinte le eccezioni. Il processo resterà a Palermo

Il gup ha rigettato tutte le istanze presentate dagli avvocati di 10 dei 12 imputati. In particolare, per Calogero Mannino e Nicola Mancino, è stato negato il trasferimento del procedimento al tribunale di Roma o al tribunale dei ministri. In più esiste una connessione, secondo il giudice, tra l'omicidio Lima (primo atto dell'attacco allo Stato) e la "minaccia agli organi costituzionali" contestata

Il procedimento per la trattativa Stato-mafia rimane a Palermo. Lo ha deciso il gup Piergiorgio Morosini che ha rigettato tutte le eccezioni di incompetenza presentata dalle difese. Il procedimento si svolgerà dunque a Palermo, così come aveva chiesto la Procura.

Le eccezioni erano state sollevate da 10 dei 12 imputati dell’udienza preliminare in corso davanti al gup. Nella sua ordinanza, letta nell’aula della Corte d’assise del palazzo di giustizia di Palermo, il magistrato le ha rigettate in blocco.

In particolare, per quanto riguarda gli ex ministri democristiani Calogero Mannino e Nicola Mancino, il gup ha stabilito la competenza del giudice ordinario di Palermo. I legali dei due imputati avevano invece proposto la competenza del foro di Roma o del tribunale dei ministri, della Capitale o dello stesso capoluogo siciliano. Ma il gup ha ritenuto che nessuno dei due sia accusato di avere commesso il reato con riferimento alle funzioni ministeriali: Mannino e Mancino non erano membri del governo all’epoca dei fatti contestati.

Peraltro Mancino, ex ministro dell’Interno, risponde solo di falsa testimonianza, reato che secondo la Procura sarebbe stato commesso il 25 febbraio scorso a Palermo, quando l’esponente politico non rivestiva alcun incarico ministeriale ormai da molti anni. Secondo il gup, in generale, la “connessione teleologica” fra l’omicidio dell’eurodeputato della Dc e leader della corrente andreottiana a Palermo, Salvo Lima, primo atto della strategia di attacco allo Stato e reato più grave fra quelli contestati a vario titolo e la successiva “violenza o minaccia” agli organi istituzionali, giustifica la permanenza dell’inchiesta sulla trattativa Stato-mafia a Palermo.