Piacere quotidiano

Il made in Italy di cui non ti puoi fidare

Il cibo contraffatto approda sulle nostre tavole, e il più delle volte ne siamo ignari. Secondo le stime della Coldiretti più del 50 per cento degli italiani acquista, nel settore della moda ma anche in quello alimentare, prodotti realizzati con materie prime dalla qualità non sempre certa

Il concentrato di pomodoro made in Cina, l’olio extravergine tunisino, le mozzarelle con latte in polvere: la nuova frontiera del cibo contraffatto è molto più vicina di quanto pensiamo. Nelle nostre tavole e in maniera assolutamente fraudolenta approdano cibi che non sono quello che sembrano. Ancora una volta la Coldiretti punta il dito su un problema spesso sottovalutato: la qualità delle materie prime con cui vengono realizzati molti prodotti alimentari che poi riteniamo nostrani. Secondo le stime della associazione imprenditoriale, più del 50% degli italiani acquista prodotti contraffatti ma non si tratta solo delle borsette della griffe di turno. Il falso nel comparto alimentare in base ad una ricerca del ministero dello Sviluppo economico vale 1,1 miliardi di euro. Certo i settori più colpiti dalla piaga del tarocco sono – come è noto – quelli relativi alla moda con un giro di affari di 2,5 miliardi.

Ma il caso degli alimenti contraffatti è molto più doloroso perché avviene all’insaputa dell’acquirente e per lo più coinvolge quei cibi a basso prezzo comprati da quanti si dibattono tra le difficoltà in questo momento. L’allarme della Coldiretti riguarda il fatto che l’Italia è un forte importatore di prodotti alimentari poi inseriti nella catena industriale del cibo con il rischio concreto che nei cibi in vendita vengano utilizzati ingredienti di qualità non sempre certa come appunto il concentrato di pomodoro cinese, l’olio extravergine tunisino, le mozzarelle ottenute da latte in polvere. Su questo fronte è significativo per la Coldiretti che nei primi sette mesi dell’anno siano stati importati dalla Cina oltre 50 milioni di chili di pomodori destinati con la rilavorazione industriale a trasformarsi in passate inscatolate e made in Italy perché non è ancora obbligatorio nel nostro Paese indicare in un’etichetta anche la provenienza delle materie prime utilizzate.

“Gli ottimi risultati dell’attività di contrasto messa in atto dalla Magistratura e da tutte le forze dell’ordine impegnate – ha spiegato il presidente della Coldiretti Sergio Marini – confermano la necessità di tenere alta la guardia e di stringere le maglie troppo larghe della legislazione a partire dall’obbligo di indicare in etichetta la provenienza della materia prima impiegata, voluto con una legge nazionale all’inizio dell’anno approvata all’unanimità dal Parlamento italiano, ma non ancora applicato”. Si tratta di una priorità che deve affiancarsi, secondo Marini, ad una lotta a livello internazionale all’italian sounding a quei prodotti che si ammantano di un falso made in Italy – dai pomodori San Marzano statunitensi al parmesan australiano fino al finocchiono Milano’s – che però sviluppano un fatturato di 60 miliardi di euro pari al doppio del valore delle esportazioni del prodotto originale.

di Massimiliano Carbonaro

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