Diritti

Carceri, recepito il Protocollo Onu: un passo verso la legge contro la tortura

Recepito dal Parlamento il Protocollo opzionale contro pene crudeli, inumane e degradanti. E’ prevista la creazione di un comitato di controllo internazionale che avrà libero accesso ai penitenziari e nei Cie. Noury (Amnesty): "Una legge contro la tortura tutelerebbe le forze dell’ordine, isolando i casi di abuso ed eliminando generalizzazioni scorrette"

Dopo dieci anni anche l’Italia accoglie nel suo ordinamento legislativo lo spirito del Protocollo opzionale alla Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura e altri trattamenti o pene crudeli, inumane e degradanti. Approvato il 18 dicembre 2002 dall’Onu a New York, il Protocollo è stato sottoscritto dalla Repubblica italiana nel 2003. E’ entrato in vigore nel 2006, quando almeno venti stati lo hanno sottoscritto, ma ha poi dovuto attendere il 2 novembre 2012 per diventare legge dello Stato italiano. La Camera dei Deputati lo ha infatti votato a larga maggioranza, autorizzandone la ratifica del Presidente della Repubblica. Cosa cambia questo nella disastrosa situazione delle carceri italiane? Con la legge, entra in vigore “un sistema di visite regolari, svolte da organismi indipendenti nazionali e internazionali nei luoghi in cui le persone sono provate dalle libertà, al fine di prevenire al tortura e le altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti”.

E’ prevista la creazione di un comitato di controllo internazionale, con due membri per ogni Stato aderente, e di un organismo nazionale indipendente che potranno visitare tutti i luoghi in cui “le persone sono o possono essere private della libertà. Questo organismo indipendente avrà dunque libero accesso alle carceri italiane, ma anche nei Centri di Identificazione ed Espulsione (Cie). “Questa è sicuramente una buona notizia, ma buone leggi e buone istituzioni vanno applicate”, commenta Riccardo Noury, portavoce della sezione italiana di Amnesty International. “Pensiamo a quanto sarebbe potuto cambiare se al tempo di storie drammatiche, come ad esempio quella di Stefano Cucchi, fosse stata in vigore questa norma che permette di intervenire nei luoghi dove è a rischio l’incolumità fisica di persone private della libertà. Se funziona, farà la differenza”.

Un passo avanti, dunque, anche se l’Italia attende ancora l’istituzione del reato di tortura, prevista dalla Convenzione dell’Onu che il nostro Paese ha ratificato oltre vent’anni fa. Un disegno di legge che va in questa direzione è attualmente all’esame del Senato: prevede per coloro che fossero riconosciuti colpevoli – sia come esecutori materiali che come mandanti o complici – da tre a dieci anni di reclusione, così come il divieto esplicito di respingere o espellere cittadini stranieri verso Paesi dove rischierebbero di essere torturati. Quanto questa legge è un passo verso l’introduzione del reato di tortura in Italia? “Non lo so. In questo Paese, laddove non c’è esplicitamente scritto il vocabolo tortura, tutto è più semplice”, commenta Noury. “In Italia, da un quarto di secolo, la tortura è una sorta di tabù che complica gli iter di qualsiasi legge in questo senso. Per l’assurdo concetto che approvare una legge contro la tortura in Italia comporti un’implicita accusa alle forze dell’ordine di torturare, una sorta di stigma vergognoso. E’ vero invece il contrario: questa legge tutelerebbe le forze dell’ordine, isolando i casi di abuso ed eliminando generalizzazioni scorrette”.