Politica

Trapani, il sindaco generale dell’Arma che non pronuncia mai la parola “mafia”

La città siciliana vive nel sistema che Messina Denaro ha realizzato prima con i morti ammazzati, poi con le stragi e adesso controllando le imprese. Ma il primo cittadino chiama "malandrini" i malavitosi, come successo oggi davanti ad alcune scolaresche

Cercate la mafia sommersa, quella che ha fatto gli inciuci e i “patti”, quella che ha deciso di mandare in giro per l’Italia bombe da far scoppiare per costringere lo Stato a cedere sulle richieste della cupola? O ancora quella che ha messo a disposizione banche e casseforti per riciclare denaro? O quella che ha saputo votare bene quando nel 1994 c’è stato da votare bene? E allora è per Trapani che dovete passare, per venire a leggere non gli atti di indagini in corso, di rapporti super segreti, ma pagine e pagine di sentenze di condanna diventate definitive, quelle nelle quali si descrivono i meccanismi praticati dalla massoneria segreta, dagli intrecci tra Cosa nostra e i servizi deviati o ancora quelli tra la mafia ed i poteri pubblici, sentenze che dicono come qui l’illegalità è diventata sistema, tanto che oggi i mafiosi non sono più quelli con coppole e lupare, ma vestono grisaglie e sono dei veri e propri manager, sentenze che raccontano come qui non si paga il pizzo, ma l’impresa paga la quota associativa a Cosa nostra.

Qui siamo a Trapani dove la mafia la si tocca con mano, e vive in un sistema che non è esagerazione dire che porta a Matteo Messina Denaro, alla rete che il latitante ha saputo creare attorno a sé, prima con i morti ammazzati, poi con le stragi e adesso controllando le imprese. Questa è la mafia raccontata nelle sentenze ma per carità di mafia in città non si deve parlare. Bisogna usare altri termini, alternativi, meno “invasivi”, per dirla quasi in termini sanitari. Malandrini…ecco così va meglio. E di “malandrini” ha parlato oggi a giovanissimi studenti il sindaco di Trapani, Vito Damiano, generale dei carabinieri e sindaco in quota Pdl (corrente senatore D’Alì) dal maggio scorso. Al suo esordio lo aveva detto, “non parlate di mafia a scuola”, e aveva spiegato, tra lo stupore non generale, il perché: “Per non suscitare paure nei giovani e negli studenti più giovani”. Oggi ad una cerimonia del Rotary, presente alcune scolaresche, in un luogo dove il club di servizio ha collocato anni addietro un monumento a ricordo delle vittime della mafia, Damiano si è sbilanciato un po’ di più, ma la parola mafia ancora ha continuato a non pronunciarla. Agli studenti ha spiegato che “gran parte della collettività è formata da gente buona e brava e da poche persone, cosiddetti ‘malandrini’, che cercano di fare interessi propri a scapito di gente buona”. I pochi sono i mafiosi, ma meglio chiamarli “malandrini”. E poi ha concluso parlando delle vittime: “Oggi noi li ricordiamo perché vogliamo imitarli e, comportandoci bene, rifiutare il ricatto e le pretese dei… malandrini”. Le vittime però la mafia la chiamavano con tanto di nomi e cognomi e per questo sono morti.