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Siria, Brahimi da Mosca a Pechino. Durante il cessate il fuoco 439 morti

L’inviato speciale per la Siria delle Nazioni Unite e della Lega araba è arrivato oggi in Cina. Il diplomatico algerino, assodato il totale fallimento del cessate il fuoco in vigore dal 26 al 29 ottobre, continuerà a promuovere "una soluzione politica alla crisi". Il numero di profughi siriani in Turchia ha raggiunto il record dei 107 mila

Da Mosca a Pechino. L’inviato speciale per la Siria delle Nazioni Unite e della Lega araba, Lakhdar Brahimi, è arrivato oggi in Cina per una visita di due giorni dopo aver concluso ieri la sua missione in Russia. Il diplomatico algerino, assodato il totale fallimento del cessate il fuoco in Siria in vigore dal 26 al 29 ottobre, continuerà a promuovere “una soluzione politica alla crisi”. Ipotesi realisticamente attuabile solo con l’ausilio dei due potenti alleati del presidente siriano Bashar al Assad. Usando il potere di veto in seno al Consiglio di sicurezza dell’Onu, infatti, Mosca e Pechino hanno finora bloccato qualsiasi risoluzione che andasse oltre la mera condanna generica della violenze nel Paese arabo.  E a ribadire lo stato di paralisi della comunità internazionale, ci ha pensato lo stesso Brahimi: “Al momento non è prevista nessuna missione di peacekiping a Damasco”, ha detto ieri al cospetto del ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov. Il portavoce del ministero degli Esteri cinese Hong Lei, dal canto suo, si è detto favorevole come Mosca, a una soluzione politica che parta dalla pace con i Paesi confinanti.

Immediata la risposta turca, consapevole che la bordata era implicitamente diretta ad Ankara. Non dialoghiamo con un regime che “uccide il suo popolo”, ha tagliato corto il capo della diplomazia turca, Ahmet Davutoglu, mentre il numero di profughi siriani nel Paese ha raggiunto oggi il record dei 107 mila. L’arrivo di Lakhdar Brahimi a Pechino è coinciso inoltre la giornata dei più pesanti attacchi aerei da parte dell’esercito di Assad dall’inizio della guerra. Compreso il primo raid di un caccia-bombardiere su Damasco. Lo denuncia l’Osservatorio siriano per i diritti umani con base a Londra. Il velivolo, riporta poi l’Agence France presse, ha sganciato quattro bombe sul quartiere orientale di Jabar, una località nei pressi Zamalka, solida roccaforte dei ribelli.

Ad ogni modo gli attacchi aerei negli scorsi giorni non si erano mai fermati: durante la presunta tregua è stato di 439 morti il bilancio delle vittime secondo gli attivisti dei Coordinamenti locali. Quanto alle località attaccate oggi sono Hamouriah, Duma, e Sbeneh i sobborghi di Damasco più colpiti mentre a Idlib, nel Nord Ovest del Paese, è la piccola cittadina di Maarrat al Numaan, a contare i maggiori danni, tanto più che era già stata pesantemente colpita due settimane fa vista la sua strategica posizione sulla strada che porta da Aleppo a Damasco. I bombardamenti su questi villaggi e l’estrazione dei corpi delle vittime dalle macerie, sono tutti documentati con video postati sul sito http://yallasouriya.wordpress.com

A terra invece continuano gli attacchi sferrati con le autobombe di cui risulta sempre più difficile risalire ai responsabili. Appare del tutto evidente ormai che nelle ultime settimane è stato preso di mira il sobborgo druso- cristiano di Jaramana, un quartiere periferico sulla strada per l’aeroporto di Damasco rimasto finora ai margini dei conflitti perché filo regime. L’auotobomba è esplosa ieri mattina, vicino a un panificio, provocando undici morti e decine di feriti. Si tratta del terzo attacco simile a distanza di poco tempo. Un’altra autobomba era esplosa otto giorni fa vicino a una chiesa. Gli attentati non sono stati rivendicati seppure sono diversi i gruppi del Free Syria army che ammettono di utilizzare questa tecnica per combattere “la sproporzione di forza” l’esercito del regime. Le esplosioni, spiegano fonti interne all’Fsa, non sono mai attivate con dei kamikaze, bensì con sistemi a comando remoto. Il governo di Damasco, da parte sua accusa i “gruppi terroristici” appoggiati dall’estero.

La minoranza drusa non è l’unica a risentire del clima generale. A 17 mesi dall’inizio della guerra civile, sembra non esserci più spazio per la neutralità neanche tra la popolazione palestinese che vive nel campo di Yarmuk, nella periferia della capitale. Bombardata, rastrellata, e ispezionata,  la baraccopoli si è divisa ormai tra pro e anti Assad. E proprio un regolamento di conti tra gruppi opposti sarebbe all’origine delle sparatorie che si sono svolte stamattina nel campo. 

di Susan Dabbous