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Cori anti-Morosini a Verona, gli ultrà non rispettano i morti?

Chi inorridisce ai cori anti-Morosini, scanditi al Picchi da sparuti butei dell’Hellas Verona, commette il grossolano errore di tirare il sasso, nascondendo la mano. Non serve indignarsi (e basta) un tanto al chilo contro l’idiozia. E’ ipocrita e limitante. Quantomeno, non risolve il problema. Così come non serve una multa da 50.0000 euro per i scaligeri. Perché il punto è un altro. Lo dice la storia, foriera di oltraggi gratuiti ai martiri di Superga, ai caduti dell’Heysel e per i defunti Taccola, Re Cecconi, Paparelli, Spagnuolo, Filippini, De Falchi, Facchetti. Persino per i morti nella strage di Bologna, i terremotati di Friuli-Irpinia, (Padre) San Pio, con inni al mostro di Firenze (si, purtroppo, anche le sue vittime – in tempi non sospetti – passarono alla gogna del tifo).

Il bestiario da stadio si alimenta così, tra rappresentazioni esaltanti, provocazioni all’ennesima potenza e scempi esemplificativi. In piazza, non un millennio fa ma fino agli anni ’80, si urlava ‘uccidere un fascista non è reato’ e ‘morte alle zecche rosse’. Così in curva, un calvo, è diventato un ‘pelato’. Un colored un ‘negro’. Un livornese ‘un comunista, ebreo’. Uno slavo ‘uno zingaro‘, un napoletano ‘un terrone‘ (vedi il caso del TG3 Piemonte). L’arbitro ‘un cornuto’, Nicola Berti ‘un frocione’, Andrea Fortunato ‘un fulminato’, eccetera, eccetera, senza pietà. (Anzi, ogni tanto, quando l’avversario cade in terra dolorante, ancora si ode ‘devi morire’!)

E’ l’alterazione del contendente, deformato nella legge della corrida, alchimia linguistica da palio sgrezzato, una giungla popolare senza esclusione di colpi. Capirlo non è difficile. Basta frequentare campetti di periferia o categorie giovanili, se non attingere ai manuali di psicologia sociale, dove identità, interazione con l’altro e concetto di stereotipo nella negoziazione collettiva, già nel 1977 erano transitati su un fortunatissimo cult inglese, ‘The football tribe‘, scritto da Desmond Morris. Uno zoologo, per l’appunto.

Per questo, indignarsi ai cori contro la povera mamma del povero Morosini, serve davvero a poco. Perché è un film già visto. E ha ragione Oliviero Beha quando ieri, su Il Fatto, scrive che “da sempre, nessuno, a partire dal Ministero dell’Istruzione e dal Coni, ha mai seminato” un bel nulla per contribuire ad una crescita collettiva del Sistema Calcio Italia. Ecco la verità: perché indignarsi, se poi gli stadi sono abbandonati al più completo vuoto culturale, creato da istituzioni menefreghiste e società distratte? Tanto si sa, il buonismo pret a porter e l’indignazione law-cost del giorno dopo, come la pillola durano il tempo tra una giornata di campionato, un turno in coppa e l’altro. E poi via, si riparte con la solita solfa, stile Processo del Lunedì.

Al Sistema Calcio Italia manca la parte costruens: leggetevi i quattro quotidiani sportivi nazionali. Guardatevi uno dei programmi tv sul football. Ascoltatevi una talk in una qualsiasi radio privata. Vi accorgerete dell’evidente complicità nell’assenza di segnali forti, sani e aggregativi di cui all’articolo 597 del codice penale, rispolverato sabato a Livorno. Nel calcio non ci sono agenti culturali, né s’intravede un programma di crescita alla fonte da cui si abbeverano, ogni giorno, milioni di ragazzi, uomini e donne delle nostre città.

Eppure un virtuoso rinnovamento nella mentalità di curva, seppur sottovalutato, c’è stato eccome, scevro dagli errori del passato, di oltraggi e diffamazioni dei defunti. Perché sottovalutarlo? Ricordate? A Bergamo, proprio per i funerali del povero Morosini, si gridò al miracolo vedendo sciarpe, bandiere e tifosi dalle più disparate latitudini, unirsi insieme nel cordoglio dello sventurato calciatore. Lo stesso, poco prima, era avvenuto per esequie e battaglia di verità e giustizia per Gabriele Sandri, così come in ricordo del genoano Gianluca Signorini o dei giovani tifosi scomparsi Eugenio Bortolon (Vicenza), Emiliano Del Rosso (Empoli) e Matteo Bagnaresi (Parma).

In un recente derby, i laziali hanno omaggiato l’ex capitano romanista Di Bartolomei, mentre la lotta alla SLA dell’indomito Stefano Borgonovo è sostenuta trasversalmente da più club, così come gli ultrà di sigle divergenti hanno simultaneamente aiutato le popolazioni alluvionate in Liguria e i terremotati di Emilia e Abruzzo. Allora, cari indignati dell’ultima ora, dov’è veramente il punto? E lasciamo riposare in pace, chi non può più nemmeno difendersi…