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Presidenziali Usa, Obama va all’attacco e si aggiudica il secondo round contro Romney

Dopo il primo faccia a faccia televisivo favorevole al candidato repubblicano, stanotte il presidente ha cambiato registro: il confronto tenutosi in un college di Long Island è stato un duello serrato, in cui Obama ha puntato molto su politiche economiche ed estere, mentre lo sfidante si è limitato ad incassare i colpi e a sottolineare le promesse non mantenute dalla Casa Bianca

E’ stato il town-hall meeting più teso e feroce della storia politica americana. Barack Obama e Mitt Romney si sono ritrovati a Hofstra University, un college di Long Island, e per un’ora e mezzo si sono scagliati addosso ogni tipo di accusa, critica, denuncia. “In certi momenti, ho temuto che si tirassero un pugno”, ha commentato un ragazzo del pubblico. E’ stato soprattutto Obama – apparso ieri sera particolarmente incisivo – a lanciare l’attacco più spietato all’avversario. “Il governatore Romney dice cose non vere”, ha ripetuto Obama, che a fine dibattito ha anche accennato alla battuta di Romney sul “47 per cento degli americani che vive alle spese del governo”. Il candidato repubblicano si è difeso. Ha battuto e ribattuto sulla sua esperienza come uomo d’affari. In certi momenti è parso però sorpreso dalla violenza degli attacchi. Alla fine, se un vincitore deve essere trovato, questo è sicuramente Barack Obama.

Il tono del confronto è stato chiaro sin dall’inizio. Il secondo dibattito presidenziale, moderato da Candy Crowley di CNN, aveva la forma del town-hall meeting, in cui un campione di elettori indecisi (selezionati da Gallup) sono stati chiamati a porre domande ai candidati. Obama e Romney si erano impegnati a rivolgersi esclusivamente agli elettori, senza mai interrompersi e senza parlarsi direttamente. In realtà, da subito, hanno cominciato a scambiarsi battute particolarmente violente. Alla prima domanda – posta da una giovane prossima alla laurea e preoccupata per il futuro – Obama ha risposto rivendicando le proprie politiche sul lavoro e ricordando l’opposizione di Romney al salvataggio dell’industria dell’auto. “Il governatore dice di avere un piano economico in cinque punti. In realtà, il suo piano ha un solo punto”, ha scandito Obama, alludendo alla presunta volontà del suo rivale di tagliare le tasse dei più ricchi.

Poco ha potuto, di fronte a tanta forza polemica, la ‘moderatrice’ Candy Crowley, che in più di un momento è stata ridotta al silenzio. Romney e Obama hanno continuato a camminare nervosamente per la sala brandendo il microfono. In certi momenti sono arrivati inaspettatamente vicino, parlando uno sopra l’altro e alzando il pugno o l’indice della mano per affermare le proprie ragioni. “Sono due maschi alpha”, ha commentato un’altra ragazza del pubblico. La volontà di apparire convincente, assertivo, “presidenziale” è stata particolarmente forte in Barack Obama, che durante il primo dibattito aveva mostrato un’attitudine passiva e rinunciataria (“come se non avesse voglia di stare lì”, hanno scritto molti commentatori) che gli ha fatto perdere diversi punti nelle previsioni di voto e ha sostanzialmente riaperto la partita per la Casa Bianca.

Il momento migliore per il presidente, ieri sera, è venuto sulla politica estera. In particolare, sulla Libia. La questione poteva essere particolarmente scivolosa per Obama, che da settimane viene accusato dai repubblicani di aver sottostimato (o coscientemente nascosto) la natura dell’attacco all’ufficio consolare americano di Bengasi. Non una manifestazione spontanea in risposta al video su Maometto, ma un premeditato attacco terroristico. Obama ha reagito accusando Romney di aver ‘politicizzato’ la morte dell’ambasciatore Stevens e di tre diplomatici americani – “Non è quello che fa un commander in chief“, ha detto – . Poi ha assunto su di sé la responsabilità di quanto avvenuto e scandito, guardando diritto in faccia Romney: “L’ipotesi che chiunque nel mio team, il segretario di stato, il nostro ambasciatore all’ONU, chiunque, abbia manipolato la realtà o fatto politica sulla pelle di quattro nostri uomini, è offensiva. Non è quello che facciamo, governatore. Non è quello che faccio come presidente. O come commander in chief“.

“Non è vero. Non è vero” è stato il refrain che Obama ha usato ripetutamente di fronte alle affermazioni di Romney. Obama ha accusato il rivale di distorcere la realtà sulla questione della benzina (“Oggi la benzina costa di più di quattro anni fa perché allora l’economia americana era in un baratro”). Romney si è visto accusare di falsità per la sua promessa di abbassare le tasse e ridurre al tempo stesso il deficit (“Semplicemente, non è possibile – ha detto Obama -. Romney innalzerà il deficit di tremila miliardi di dollari e poi taglierà programmi sociali e alzerà le tasse della classe media”). Il presidente ha ricordato la passata battaglia di Romney contro la contraccezione e Planned Parenthood – un modo per enfatizzare i pericoli che una Casa Bianca repubblicana porrebbe per i diritti delle donne – e ha insistito sull’appoggio che il candidato repubblicano ha dato alla legge sull’immigrazione dell’Arizona e la sua proposta per “l’autodeportazione” degli immigrati – altro modo per consolidare il vantaggio dei democratici nel voto ispanico -.

Romney si è visto accusare di essere un candidato persino più estremista di George W. Bush: “Bush non propose di trasformare il Medicare in un programma di voucher. Bush era a favore di una riforma comprensiva dell’immigrazione. Non voleva eliminare i finanziamenti per Planned Parenthood”, ha spiegato Obama. La vera bordata è però arrivata alla fine, quando il presidente ha fatto quello che molti democratici gli chiedevano da settimane di fare. Il giudizio di Romney sul 47 per cento degli americani, ha detto, “è un insulto per i veterani che si sono sacrificati per questo Paese, per gli studenti che stanno cercando con difficoltà di portare avanti i loro sogni e i sogni di tutti noi. E’ un insulto, infine, per la classe media”.

Di fronte a un attacco di tale portata, Romney è parso spesso in difficoltà, ansioso di reagire – l’emozione era visibile negli occhi arrossati – ma incapace di tenere testa al fiume di accuse. Il candidato repubblicano è parso al suo meglio quando ha criticato Obama per le promesse non mantenute, soprattutto per la sua incapacità di creare nuovi posti di lavoro: “Non dobbiamo arrenderci all’idea che questo livello di disoccupazione sia fisiologico – ha detto -. Non dobbiamo pensare che negli Stati Uniti ci debbano essere 43 milioni di persone che vivono grazie ai buoni alimentari”. Probabilmente esasperato dagli attacchi personali, Romney alla fine ha detto che “ci sono delle campagne focalizzate più sull’attacco alle persone che sulle formulazione di proprie politiche”. Poi, per cercare di contrastare la fama di businessman cinico con cui la campagna democratica ha cercato di definirlo, ha concluso: “Mi interssa la sorte del 100 per cento degli americani. Voglio che il 100 per cento degli americani abbia un futuro luminoso. Sono un uomo di chiesa. Mi interessa il futuro dei nostri ragazzi”.

Le prossime ore diranno quali sono stati gli effetti di questo secondo dibattito. Probabile che, con una prova particolarmente all’attacco, Obama sia riuscito a bloccare l’emorragia di voti delle ultime settimane. Ancora una volta lui e il suo team, più che articolare una vera proposta per i prossimi quattro anni (che resta piuttosto sfocata, anche a detta di molti osservatori di fede democratica) hanno preferito concentrarsi sugli attacchi a Mitt Romney, alla sua personalità, ai frequenti ‘balletti’ di posizioni del candidato repubblicano. Quello che è certo è che questa strategia, tutta ‘negativa’, ha mostrato un Obama inedito. Di solito freddo, trattenuto nei dibattiti pubblici, tanto da apparire altero e distaccato, portato più a spiegare che a trascinare, Obama ieri sera ha messo da parte ogni riserva e si è lanciato direttamente, rumorosamente, nell’agone della politica. Segno che la posta in gioco è alta e l’esito della battaglia incerto.