Società

Contro le disuguaglianze la matematica della felicità ?

Se un dente ci fa tanto male, andiamo a farcelo togliere. Al momento stiamo pure peggio, ma poi: il sollievo. Forse è il momento di andare dal ‘dentista’ della società civile. Che è la vecchia, cara, scienza matematica.

La negatività fa male a tutti, sia chi la esprime che chi la vive: il lamentarci serve se è il primo passo per poi fare una lista di azioni da iniziare subito, quelle necessarie per risolvere i problemi. In caso contrario espande la sensazione di impotenza generale, e moltiplica se stessa. Per riuscire a lamentarci confrontiamo quel che vediamo nel mondo con la nostra idea di come dovrebbe essere: un’insoddisfazione perenne fa di noi umani persone creative e innovative, se dal lamento passiamo all’azione. 

Davvero, ognuno vive immerso nella sua realtà, che agli altri pare a volte perfino un’allucinazione. Penso al politico lombardo che non sa come fare, se gli verrà abbassato il suo stipendio mensile – che per la maggior parte di noi è molto alto.

Per una volta non esorto a smettere di soffrire, semplicemente spostando la propria attenzione su altro, sulle cose di cui possiamo essere grati, se solo smettiamo di darle per scontato – il nostro stesso essere in grado di indignarci non significa che siamo vivi? Si, siamo vivi e anche parecchio infastiditi.

Ecco che ci serve un piano di azione!

Osserviamo dunque la situazione, sospendendo i giudizi automatici, che pur ci vengono in mente. Ci aiutano a farlo alcuni ricercatori che si occupano della relazione tra contentezza e ricchezza. Pare infatti che la felicità aumenti all’aumentare del reddito, ma solo fino a che questo arriva ad un livello che permette di occuparci senza stress dei bisogni legati alla vita stessa. Una volta raggiunto questo livello, ogni ‘aumento’ economico si accompagna all’aumento di stress: abbiamo ansie legate alla paura di perdere quel che abbiamo, a rapine, a tasse, agli altri. Diventiamo diffidenti e ci isoliamo. La nostra vita si complica, una volta superata una soglia di reddito che basti a garantire i bisogni quotidiani.

Avvertiamo quindi i politici: sono infelici perché hanno troppi soldi, non troppo pochi! E, generosi come siamo, aiutiamoli a ritornare più contenti, abbassando loro le entrate esagerate.

A parte gli scherzi, i ricercatori Kate Pickett e Richard Wilkinson hanno raccolto dati per decenni: quanto più una società registra diseguaglianze economiche, più è infelice. I dati statistici su violenza, tossicodipendenza, malattia mentale, criminalità, comportamenti sintomo di disagio, sono correlabili direttamente al divario esistente tra i salari minimi e quelli massimi di una società. In parole povere: se il salario massimo esistente in un Paese è di circa 20 volte quello minimo, o se è di 60 volte, la situazione generale, in termini di sicurezza e contentezza percepita, è molto diversa. (Esempio: se il presidente della RFT percepisce 200.000,- euro all’anno, e un salario minimo è di circa 10.000,-/anno, il rapporto è 20/1; se un presidente di Regione ne prende 600.000,-/anno, è di 60/1).

Come dire: se in una comunità siamo tutti ‘mediamente poveri’ non faremo confronti con le realtà degli ‘altri’ (i ‘ricchi’), e proprio per il fatto di non farne ci sentiamo meno infelici.

Il mio scopo, scrivendo qui, è vedere insieme le risorse, soprattutto nelle situazioni più irritanti e tristi. La risorsa di questa situazione: un guadagno in consapevolezza sociale, se ci stiamo davvero rendendo conto che non vogliamo andare avanti così.

Faccio quindi qui di seguito una proposta creativa, e matematica. 

Calcoliamo la somma globale, quanto guadagnano, tutti insieme e mese per mese, tutti i cittadini italiani che vivono di reddito pubblico. Prendiamo la somma totale e la distribuiamo equamente tra il medesimo numero di persone, garantendo che lo stipendio massimo sia non più di 20 volte quello minimo: una base matematica alla felicità generale. Alzando le pensioni minime e abbattendo i compensi troppo alti, ridistribuiamo la spesa totale su tutti. Forse le risorse sono abbastanza da introdurre un ‘reddito di cittadinanza’ per chi non ne ha alcuno. Eliminiamo così anche la spinta ad arraffare, e chi non ha vero interesse per il bene pubblico non intraprenderebbe una carriera politica: che ne dite?