Diritti

Laziogate, la figlia di un malato di Sla: “Mi vergogno di loro”

Antonietta vive per il padre e non può neanche andare a prendere la figlia a scuola. Il motivo? La Regione ha tagliato i fondi alle Asl e lei deve rimanere a casa perché l'assistenza sanitaria domiciliare è "garantita per sei ore al giorno". Solo 32 pazienti su 90 dell'intero territorio laziale possono godere dell'assistenza 24 ore su 24

“Cosa ho pensato quando ho letto delle ostriche? Che mi vergogno di essere italiana, che, se avessi i soldi, metterei mio padre su un aereo e lo porterei in Germania”. Antonietta è una donna forte, combattiva, che difficilmente si arrende. Eppure oggi confessa di non farcela più, di non sapere come andare avanti. Da un lato i soldi a pioggia ai consiglieri regionali del Lazio, ostriche, champagne e toga party, dall’altro i tagli alla spesa sociale, meno 150 milioni di euro nell’ultimo anno. E a farne le spese non sono soltanto, come il Fatto ha scritto ieri, i ragazzi disabili di Pontecorvo, nel frusinate, che si sono visti chiudere il centro diurno.

Antonietta vive a Roma, è figlia di un malato di Sla, un uomo di 62 anni che quattro anni fa aveva una vita, una compagna, un lavoro. Poi, la sua gamba ha cominciato a dare problemi. “Camminava male – racconta Antonietta –. Allora non ci rendevamo conto di cosa fosse. Quando la gamba si è bloccata completamente, è arrivata anche la diagnosi definitiva”. Sclerosi laterale amiotrofica, una di quelle sentenze di morte contro le quali, ancora, non si può fare nulla. Una malattia subdola, che ti immobilizza poco alla volta, fino a ridurti intubato e alimentato artificialmente. “Mio padre ha perso la vita che aveva, è venuto a stare da me perchè necessitava di assistenza continua. Tre anni fa ha iniziato a non poter più mangiare, l’hanno dovuto intubare. È rimasto un anno in ospedale, poi me l’hanno rimandato a casa. All’inizio io ero contenta, pensavo che mi avrebbero aiutato” . Poi, però, l’amara constatazione. “La Asl ci ha garantito soltanto quattro ore di assistenza giornaliere, due al mattino due al pomeriggio, che sono diventate 6 soltanto dopo insistenti richieste”.

Antonietta ha una figlia che quest’anno va in prima elementare: “Mi sono rivolta a Mina Welby perché mi aiutasse, io volevo soltanto andare a prendere la bambina da scuola e con gli orari degli infermieri e dei fisioterapisti non potevo. Lei si è interessata, ha ricalcolato le ore e ha sottoposto una proposta alla Asl Roma B”. Risposta? Ti arrangi, sono problemi tuoi. Non ci sono soldi. La famiglia di Antonietta vive con 750 euro di pensione del padre. Il marito è disoccupato da agosto e sono in ritardo col pagamento dell’affitto. Lei non vive più e sa di non poter garantire, da sola, un’assistenza adeguata al padre: “Avrebbe diritto di essere messo su una sedia, di uscire. Non è morto, anche se la sua vita non è normale. Lui reagisce con scatti d’ira, si arrabbia continuamente con me. E io non so più cosa fare. Noi abbiamo vissuto in Germania ed è lì che vorrei tornare, lì ti trattano come una persona. In Italia fare il delinquente è l’unica soluzione, ma non tutti riescono a farlo”. L’associazione “Viva la Vita” ha calcolato che 14 malati di Sla sui 90 conosciuti nel Lazio hanno da zero a sei ore di assistenza giornaliera. Soltanto in 32 possono contare sull’h24 e sono tutte assistenze concesse anni fa. E c’è persino chi dice che sarebbe in corso un’ulteriore spending review delle ore di assistenza.

Le Asl non hanno soldi per i tagli alla sanità operati dalla Regione, che oltre tutto non paga neanche quello che dovrebbe. È il caso dell’ospedale Santa Lucia, un centro all’avanguardia per la riabilitazione neuromotoria (suo paziente è stato anche Lamberto Sposini). A novembre 2011 fu emanato un decreto per sbloccare i 90 milioni di debito che l’ente aveva con la Fondazione. “Qualcosa è arrivato – racconta il Direttore sanitario, Antonino Salvia –, poi si è ribloccato tutto. E quando abbiamo fatto un decreto ingiuntivo, l’Avvocatura regionale ha risposto che coloro che avevano firmato il decreto non erano riconducibili al rappresentante legale della Regione e che lo stesso documento non era stato protocollato”. Quindi zero euro. In condizioni simili, anche se per importi minori, è il Consorzio Aedes del Sorano, che riunisce una ventina di Comuni del frusinate. “Il ritardo medio nei pagamenti è di 368 giorni – spiega il presidente di Legacoop Daniele Del Monaco –. Noi diamo assistenza a cento anziani e lavoro a 20 persone con 50 mila euro”. La cifra che Fiorito aveva a disposizione ogni mese. 

Da Il Fatto Quotidiano del 27 settembre 2012