Mondo

Presidenziali Usa, Obama chiede tempo. “Più lavoro e scuola, meno petrolio”

Il presidente ripresenta la propria candidatura a Charlotte. Applausi, ma il clima non è più quello del 2008: "Ci vorranno anni per risolvere le sfide accumulate". L'orgoglio per la riforma sanitaria. "Non taglio le tasse ai miliardari penalizzando le famiglie"

“Mi avete eletto per dire la verità. E la verità è che ci vorranno più di alcuni anni per risolvere le sfide che si sono accumulate”.  Accettando la candidatura del partito democratico alla presidenza, Barack Obama ha affermato di aver salvato gli Stati Uniti dal disastro e di aver guidato gli americani sulla via della ripresa. Il presidente ha però chiesto soprattutto tempo, tempo per finire il lavoro iniziato. “Sappi questo, America – ha detto -. I nostri problemi possono essere risolti. Le nostre sfide possono essere affrontate. Il sentiero che noi offriamo può essere duro, ma conduce a un luogo migliore. E io vi sto chiedendo di scegliere quel futuro”.

Dimenticati i fasti di Denver 2008, dove aveva accettato la candidatura su un podio incorniciato da colonne greche, tra boati d’entusiasmo della folla e fuochi d’artificio, Obama a Charlotte è parso rilassato, certo della vittoria finale. Ha scherzato – quando, all’inizio del discorso, ha ammonito le figlie sul fatto che “domani si va a scuola” -. Ha toccato i temi più gravi – il dolore dei genitori per la morte di un figlio soldato – e rivendicato rischi e scelte difficili, da “commander-in-chief”. Il discorso non è però mai davvero decollato, ed è parso in tanti momenti una riscrittura di altri precedenti interventi. La folla dei democratici, reduce da una Convention particolarmente elettrizzante, ha comunque scandito l’intervento del presidente con continui slogan, applausi, canti.

Di solito piuttosto restio a fornire dati e numeri, Obama questa volta ha dovuto offrire almeno qualche dettaglio concreto, in cambio del “tempo” chiesto agli americani. Ha detto di puntare alla creazione di almeno un milione di nuovi posti di lavoro nell’industria entro il 2016. Ha promesso di raddoppiare le esportazioni nell’arco di due anni, e di ridurre della metà le importazioni di petrolio (entro il 2020). 600 mila nuovi posti di lavoro verranno creati in un decennio nel settore del gas naturale. Ulteriore impulso all’occupazione dovrebbe venire dall’assunzione di 100mila insegnanti di matematica e scienze e da corsi di aggiornamento per due milioni di lavoratori nei community college. Gli studenti, “una priorità per l’America”, ha detto Obama, si vedranno tagliare le tasse scolastiche di almeno la metà. E il deficit dovrà scendere di 4 mila miliardi di dollari in dieci anni.

Oltre i numeri e le promesse, che in un discorso da Convention possono essere spesso facilmente aggiustati, Obama è parso particolarmente efficace quando ha rivendicato il lavoro della sua amministrazione e lo ha legato alla vita degli americani. “Voi che mi avete votato siete la ragione perché una ragazzina malata di cuore di Phoenix può oggi essere operata senza che la compagnia di assicurazione le limiti le cure. Voi siete la ragione perché un ragazzo del Colorado, che non avrebbe mai pensato di laurearsi, oggi sta diventando un dottore. E voi siete la ragione perché un giovane immigrato che è cresciuto e andato a scuola in America e ha giurato fedeltà alla bandiera oggi non verrà più deportato”.

Nel discorso Obama ha avuto bisogno non soltanto di marcare la differenza tra i due partiti, democratico e repubblicano, ma di sottolineare due visioni del mondo antitetiche, “due scelte diverse per una generazione”. “Mi rifiuto di chiedere alla classe media di rinunciare alle loro riduzioni delle imposte sulla casa e sulla famiglia, soltanto per pagare un altro taglio alle tasse dei miliardari. Rifiuto di chiedere agli studenti di pagare di più per il college… Rifiuto di cancellare l’assicurazione sanitaria per milioni di americani che sono poveri, anziani, disabili”. L’obiettivo, ancora una volta, è stato quello di mostrare un partito repubblicano totalmente disconnesso da bisogni, paure, ambizioni della classe media.

Il discorso, durato poco più di mezz’ora, è stato accolto con oltre dieci minuti di applausi ma è comunque parso segnato da un tono particolarmente preoccupato, crepuscolare, senza gli attacchi e gli accenti partigiani che di solito caratterizzano queste occasioni. La parola “promessa”, pronunciata a Denver nel 2008 per ben 32 volte, è ieri sera risuonata solo 7 volte. Il presidente ha dovuto riconoscere le difficoltà del presente, spiegando che “quattro anni dopo, la speranza è stata messa alla prova – dal costo della guerra; da una delle peggiori crisi economiche della storia; da un impasse politico che ci fa dubitare della sua possibile soluzione”. Non è così un caso che nella platea della Convention si respirasse un’aria sicuramente meno entusiasta rispetto alla sera prima, quando Bill Clinton aveva tenuto una magistrale lezione di politica, alternando progettualità, raffiche di accuse ai repubblicani, orgoglio di partito.

Probabile che Obama abbia voluto offrire un’immagine più “presidenziale”, distaccata, nobile. Probabile che non abbia voluto allontanare gli elettori indipendenti con eccessi partigiani. Probabile che abbia cercato di non apparire fuori tono, in un Paese con 23 milioni di disoccupati. Ciò non toglie che, nelle prossime settimane, la campagna democratica dovrà trovare un messaggio più netto, convincente, se vuole davvero distaccare Romney e i repubblicani. “Forward”, avanti, lo slogan 2012, non pare avere la forza, la capacità di raccogliere voto e opinione, degli “hope and change” di quattro anni fa.