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La crisi sbarca in Cina, piccole imprese in ginocchio: fallimenti, suicidi e fughe

La liquidità latita, le banche negano il credito. Così gli imprenditori dello Zhejiang si sono rivolti al "sistema bancario ombra": i prestiti arrivavano a tassi fino al 180%. Il governo regionale corre ai ripari, ma la concorrenza delle società statali resta schiacciante

Circa 600 piccole imprese dello Zhejiang – la regione sudorientale della Cina da cui provengono quasi tutti i cinesi che vivono in Italia – hanno chiesto aiuto al governo locale. Denunciano che le banche locali richiamano i clienti a saldare i debiti e si rifiutano di accordare nuovo credito. Sono quasi tre anni che la situazione economica della regione è grave, tanto da richiamare addirittura l’attenzione del premier Wen Jiabao. Alcuni imprenditori si sono suicidati e altri sono scappati all’estero.

Siamo nel pieno di una crisi di liquidità. E gli imprenditori lamentano il fatto che ora che anche l’economia del Dragone mostra più di qualche segnale di stress, le banche li evitano come fossero appestati. E non c’è modo di ottenere nuovi prestiti. Quella che è stata chiamata “crisi di Wenzhou” – dal nome del capoluogo della regione (10 milioni di abitanti) – ha raggiunto il suo apice durante l’estate del 2011 ma, nonostante l’intervento di politici di primo livello e l’introduzione di misure speciali per migliorare i servizi finanziari, regolare il prestito privato e sostenere lo sviluppo delle Pmi, è evidentemente ancora in corso.

Lo Zhejiang è una regione la cui gente è sempre stata lodata per la sua intraprendenza, specie negli affari. È facile farsene un’idea passeggiando nelle nostre città e riflettendo su come negli ultimi anni le attività commerciali dei “cinesi” si siano moltiplicate. Il punto d’origine sono state le restrizioni al credito imposte dal governo – sotto forma di innalzamento della riserva obbligatoria delle banche – che avrebbero dovuto raffreddare l’inflazione e colpire soprattutto la speculazione edilizia, ma di fatto hanno invece finito per colpire il motore dell’economia locale: le piccole e medie imprese manifatturiere.

Ma gli imprenditori locali non si erano lasciati abbattere. Erano invece ricorsi, sempre più spesso, al cosiddetto “sistema bancario ombra”, ovvero ai “prestiti informali”. Famiglie, aziende e imprenditori avevano depositato i loro averi in “banche sotterranee” che a loro volta prestavano denaro agli stessi, ma con tassi di interesse da usura: dal 20 al 180 per cento. Poi all’indebitamento, si era aggiunta una significativa riduzione degli ordinativi, causa la crisi economica mondiale: il colpo di grazia.

Così la regione dello Zhejiang, la città di Wenzhou capofila, ha sperimentato una serie significativa di fallimenti che ha portato al suicidio o alla fuga numerosi imprenditori. Le imprese in bancarotta non hanno pagato i propri debiti al sistema bancario “sotterraneo” e la crisi di liquidità si è diffusa come un virus.

All’inizio di quest’anno il China Securities Journal citava un rapporto della Banca centrale secondo il quale, nel luglio precedente, circa lʼ89 per cento delle famiglie e il 60 per cento delle società di Wenzhou erano in qualche modo coinvolte nel sistema bancario ombra, con tassi medi di circa il 25 per cento allʼanno. A quel punto il governo era intervenuto direttamente e a ottobre dello scorso anno addirittura il primo ministro Wen Jiabao si era recato personalmente a Wenzhou per calmare le acque e contenere il panico su un sistema ad alto tasso di contagio.

Ma oggi la situazione si ripete. Circa 600 imprese private si sono unite e hanno presentato una petizione al governo locale della regione dello Zhejiang. Chiedono tre anni senza tagli nei prestiti. E non sono gli unici a denunciare la negligenza del sistema bancario ufficiale verso le piccole imprese. “È semplice. Le aziende piccole non hanno accesso al credito” dichiara al Wall Street Journal Liu Kegu, l’ex vice presidente della statale China Development Bank. E spiega che le Pmi sono pesci troppo piccoli per le grandi banche e vengono viste come un rischio maggiore rispetto a quello costituito dalle imprese statali.

I funzionari di Partito e gli uomini di governo cinesi sono a conoscenza del problema e hanno recentemente parlato della necessità di accesso al credito per le piccole e medie imprese. Ma, specialmente di questi tempi, la concorrenza delle solide imprese statali è grande. Dal punto di vista delle banche, molti prestiti concessi a piccole aziende sono già a rischio ora, che la crescita della Cina sta rallentando. Ma finora i dati nazionali per il sistema bancario non hanno mostrato tendenze allarmanti nel reparto crediti inesigibili che, stando ai dati della China Banking Regulatory Commission, sembrano inspiegabilmente fermi allo 0,9 per cento.

Ma a livello regionale e locale questa percentuale cresce, soprattutto in regioni come lo Zhejiang in cui le imprese private sono principalmente orientate all’esportazione e quindi più soggette alle fluttuazioni dell’economia globale. Chen Zuofu, vice presidente della China Construction Bank, ha avvisato proprio la scorsa settimana che i non-performing loans, ovvero i crediti per i quali la riscossione è incerta, stanno crescendo rapidamente. Soprattutto nell’area del delta del fiume Azzurro, dove sono arrivati a una media del 2 per cento. Certo non si può ancora parlare di un livello critico, ma forse è un’avvisaglia di qualcosa più grande in arrivo. E bisognerebbe porvi rimedio.

di Cecilia Attanasio Ghezzi