Mondo

Presidenziali Usa, Ryan infiamma la convention repubblicana. Tra le proteste

Il vice di Mitt Romney scalda la platea nel secondo giorno della convention repubblicana. Ma ad animare il dibattito sono soprattutto le proteste dei sostenitori di Ron Paul, che minacciano il non voto e denunciano la carenza di trasparenza e democrazia interna al partito

Nel giorno del discorso di Paul Ryan, esplode la protesta alla Convention di Tampa. Sono i sostenitori di Ron Paul a farsi sentire con più clamore, inscenando una manifestazione nei corridoi della Convention. Ma altre anime e settori repubblicani – anzitutto gli ispanici, ma anche gli omosessuali – hanno chiesto in queste ore maggiore inclusività, e possibilità di contare, in un partito che resta dominato da una classe dirigente maschile e bianca.

Ryan ha entusiasmato le migliaia di delegati con una serie di attacchi puntuali e violenti a Obama e ai democratici. “Dopo quattro anni di presa in giro, è venuto il momento di una svolta”, ha detto il vice di Romney, promettendo 12 milioni di nuovi posti di lavoro, un governo federale più limitato, tagli alla spesa e un’amministrazione competente e responsabile. Poco prima del suo discorso, la Convention repubblicana è stata però travolta dalla manifestazione dei sostenitori di Ron Paul, che a centinaia hanno marciato per i corridoi del Forum. Per la gran parte giovani, urlavano “Farsa, Farsa”, e ancora “Fate schifo!”. “Non hanno voluto ascoltare le nostre richieste, hanno cambiato le regole, impedito ai nostri delegati del Maine di partecipare alla Convention”, spiegava Ellen, 26 anni, tenace sostenitrice di Paul. “Hanno ingannato, rubato, preso in giro gli americani”, diceva un altro. “Romney non è e non sarà mai il mio candidato. Non voterò per lui a novembre”, raccontava un giovane delegato di Paul del Texas.

Il Republican National Committee, insieme alla campagna di Mitt Romney, ha fatto del resto di tutto per soffocare la ribellione di Paul e dei suoi. Oltre a escludere la delegazione del Maine, ha impedito a Paul di parlare alla Convention, ha fatto votare in tutta fretta la candidatura di Romney, ha cambiato le regole per il futuro, dando al partito maggior controllo sulla scelta dei candidati. La furia anti-dissenso non è però servita. Se nel futuro, con le nuove regole, sarà più difficile avere un candidato come Ron Paul, il movimento da lui fondato esce da queste elezioni rafforzato. Idee come il ripensamento del ruolo della FED e della politica di potenza americana sono entrate nel dibattito politico dei repubblicani. Non sarà facile, per la leadership del partito, soffocare quel dibattito.

Meno clamorosa, più sotterranea, ma forse ancor più rilevante, è stata la tensione accumulatasi in queste settimane tra gli ispanici repubblicani. La tensione è infine esplosa ieri a Tampa, dove Mel Martinez, ex-senatore della Florida e capo del partito ai tempi di George Bush, è sbottato a un incontro pubblico e spiegato che, in tema di immigrazione, i repubblicani “hanno sbagliato tutto”. Martinez si riferiva alla piattaforma votata dal partito, che si oppone a ogni forma di amnistia per gli immigrati illegali, chiede più controlli alle imprese che li impiegano e la cancellazione dei finanziamenti statali alle università che ammettono gli immigrati senza documenti. Romney, durante la campagna elettorale, ha apertamente appoggiato, come tutti gli altri candidati, la nuova legge anti-immigrati dell’Arizona. Il risultato è che oggi il 70% degli ispanici USA dice di voler votare per Obama, contro il 25% che sceglie Romney. Il divario è ancora più evidente tra gli elettori sotto i 25 anni. Otto giovani ispanici su dieci scelgono Obama, soprattutto dopo la decisione del presidente di bloccare la deportazione di 800mila giovani ispanici senza documenti che studiano negli Stati Uniti. Il risultato è che i repubblicani hanno perso l’appoggio della comunità etnica più in espansione, decisiva in Stati come Florida, Arizona, Nevada, Colorado. La cosa non vale soltanto per queste elezioni, ma probabilmente anche per quelle future. La preoccupazione di Martinez – rieccheggiata in queste ore, spesso in privato, da altri ispanici come Marco Rubio e Susana Martinez – emerge dunque dalla Convention di Tampa e segnala un problema reale con cui i repubblicani, prima o poi, dovranno fare i conti.

E i conti, prima o poi, il partito dovrà farli anche con gay e lesbiche. In questi giorni a Tampa è stato particolarmente attivo Clarke Cooper, executive director dei Log Cabin Republican, l’organizzazione degli omosessuali repubblicani. In un intervallo della Convention gli abbiamo chiesto se si sente a suo agio nel Grand Old Party di oggi, e la risposta è stata: “Sì. Assolutamente”. La cosa può apparire paradossale, considerata la piattaforma repubblicana, che definisce il matrimonio come “unione esclusiva tra un uomo e una donna” e accusa addirittura Obama di aver imposto “un’agenda di diritti omosessuali alle altre nazioni”. Eppure proprio a Tampa è apparso chiaro che le cose sono cambiate da quando, nel 1996, Bob Dole restituiva i finanziamenti elettorali proprio dei Log Cabin Republicans. Ci sono sempre più politici gay e repubblicani, soprattutto a livello locale, che vengono allo scoperto (il caso più conosciuto e recente è quello di Zach Wyatt, depiutato del Missouri). Nascono nuovi gruppi di omosessuali repubblicani, come GOProud, particolarmente attivo a Tampa, dove ha organizzato ieri sera un party dal titolo “Homocons 2012”. “Non è più così impossibile dichiararsi gay e repubblicani. Il partito dovrà fare i conti con noi”, ci ha spiegato Gary, un delegato gay della California. 

Sono conti – con i fan di Ron Paul, con il mondo ispanico, con gli omosessuali ma anche con le donne e i loro diritti – che Mitt Romney sicuramente non farà stasera, nel discorso di accettazione della candidatura. Ma se una cosa questa Convention ha reso evidente è che il partito repubblicano difficilmente potrà restare immobile di fronte all’America che cambia. Movimenti di protesta dal basso, trasformazioni generazionali, etniche, dei valori mettono in discussione la vecchia leadership e chiedono nuove risposte. Le richieste di cambiamento sono sepolte sotto una piattaforma politica oggi particolarmente conservatrice, ma si allungano sulla generazione futura del partito repubblicano. Quella di Chris Christie, Marco Rubio, Ted Cruz, Nikki Haley, i nomi che già oggi si fanno per le presidenziali 2016.