Politica

Legge elettorale, ne riparliamo nel 2018?

Provo a fare una riflessione paradossale. E parto da una domanda: a chi interessa cambiare l’attuale situazione politica italiana? In particolare voglio focalizzarmi su due questioni.

1. A chi interessa cambiare l’attuale legge elettorale?

Non ai partiti grandi, che potrebbero subire una contrazione piuttosto significativa del loro consenso e dunque hanno l’attuale classe dirigente impegnata prima di tutto a sopravvivere. Il ricambio, quando i posti in Parlamento si riducono, passa abbastanza automaticamente in secondo piano. Ma il porcellum va bene anche ai partiti piccoli, quelli che lottano a cavallo della soglia di sbarramento, sia a quelli nuovi che a quelli vecchi, sia a quelli presenti alla Camera al Senato in questa legislatura sia a quelli che vogliono entrarci. Proprio perché piccoli, le segreterie hanno bisogno di pesare i nomi uno per uno per poter far entrare i rispettivi gruppi dirigenti senza correre rischi che qualcuno resti indietro.

E secondo me non dispiace neanche a Grillo e a Casaleggio, che hanno costruito la forza del loro consenso sopratutto sul ‘brand’ CinqueStelle e che, inoltre, non avranno certo dispiacere nel dire l’ultima parola sulla formazione delle liste elettorali, dato che sulla base di questa scelta si misura la tenuta politica della loro proposta nei prossimi anni. 

2. A chi interessa davvero un governo politico?

Non al Pdl e al suo proprietario, che si libererebbe volentieri del fardello del governare se qualcuno, a Palazzo Chigi, potesse tutelare i suoi interessi. Sarà questo lo scopo del partito di Berlusconi da qui fino alle politiche: scegliere il nome che dia maggiori garanzie e, di conseguenza, risultare politicamente indispensabile. Al centrodestra italiano poteva andare molto, molto peggio. Di sicuro andrebbe loro molto peggio se ci fossero elezioni realmente politiche, in un classico contesto bipolare (la grande vittoria politica di Berlusconi, ci avevano detto. Bei tempi andati).

Non ai partiti del Terzo Polo, che possono governare, essere influenti in misura di molto superiore al numero di voti effettivamente attratti e proseguire con la tanto amata politica dei due forni a livello locale. 

Non ai partiti, grandi e piccoli, distanti da Monti, che potranno comodamente fare la loro politica di opposizione e, dunque, avere un senso in questo scenario, anche su scala locale. La Lega (e tanti elettori leghisti) non vedeva l’ora di andare all’opposizione. Di Pietro non sembra preoccuparsi particolarmente della perdita di una concreta prospettiva di governo (che sembrava certa dopo la foto di Vasto). Sel si è posizionata e aspetta che il Pd decida che direzione prendere. Se il Pd dovesse convergere su Monti, Sel diventa ‘la sinistra’, stavolta senza il macigno psicologico del voto utile del 2008. Sarebbe una forza sì di opposizione, ma dal marcamento identitario assai solido. 

Anche Grillo funziona molto di più all’opposizione che al governo. Lo vediamo a Parma, ma è una considerazione abbastanza banale che prescinde dal caso-Pizzarotti: i problemi sul tavolo dell’Italia sono tanti, grandi, e fanno perdere voti rapidamente. Mantenersi sul 15-20% è una soluzione che conviene a tutti: al Movimento per contare senza compromettersi (e per essere decisivo alle Amministrative), ai grandi partiti che avrebbero un ottimo alibi per non cambiare nulla e convergere su una grande alleanza. 

Il Pd è, ovviamente, il soggetto politico maggiormente interessato ad andare a una resa dei conti ‘tradizionale’, alla consultazione democratica. Ma tanti, forse troppi, sono i leader del Partito che condividono le ricette politiche dell’attuale governo Monti e non potrebbero, invece, accettare, uno spostamento eccessivamente a sinistra della linea politica del Pd. A quel punto si potrebbe decidere di tenere il partito unito e spostarlo fatalmente a destra, invece di rischiare una scissione e uno svuotamento dall’interno, destinazione ‘Cosa Bianca’, ‘Terzo Polo’ o uno qualsiasi dei nomi che saranno inventati per l’occasione. 

Una prosecuzione di un governo a forte matrice tecnica sarebbe inoltre assai gradito da tutti gli attuali gruppi di potere, alle prese con la crisi economica globale e, in alcuni casi, con fortissime frizioni interne (vedi Mediobanca). Interessa ai grandi editori (in particolare, a una buona parte dei componenti dei loro Consigli di Amministrazione), interessa ‘ai mercati’, interessa all’Europa, che è terrorizzata dall’idea di avere un interlocutore diverso da Monti. 

Alle due domande si potrebbe rispondere in modo intuitivo: interessa agli italiani. Gli italiani vogliono andare a votare e scegliere i loro rappresentanti. È quello che si dice, ci diciamo da anni. Ma siamo sicuri che sia così? Siamo sicuri che gli italiani vogliano davvero scegliere tra candidati ‘politici’? E soprattutto, siamo sicuri che Monti (che ha detto di non volersi candidare, e bisogna crederci: però è senatore a vita e può diventare Premier anche senza candidarsi, specie se al Senato la legge elettorale resta questa) perderebbe da uno qualsiasi degli attori politici e tecnici, reali e presunti, in corsa per Palazzo Chigi? 

Lo so, ho lasciato tante domande senza risposta. Chiudo con un’ultima questione: ne riparliamo direttamente nel 2018?