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Il Pd ha già spartito i posti al governo: Bersani premier, D’Alema e Letta ministri

I democratici si sentono già al governo e hanno già spartito le poltrone: il segretario si terrà anche l'Economia. Veltroni verso la presidenza della Camera. Il partito? Lo guiderà (di nuovo) Franceschini

Per una volta, la notizia non è il fatto in sè, quanto la sua conferma. Nel Pd c’è chi si è già spartito i posti del governo (e del potere) che verrà. Senza pensieri a compromessi con le parti più critiche del partito e senza neppure passare per le primarie. Dove, a quel che si apprende, i maggiorenti democratici farebbero pure a meno di passare. E parecchio a meno. Esiste, insomma, una sorta di “patto di sindacato” tra chi conta (e ha sempre contato) dentro il partito per dividersi quelli che saranno gli incarichi di maggior rilievo nella prossima legislatura. Al Foglio questo patto l’ha svelato una gola profonda interna al Pd, ma ilfattoquotidiano.it ha voluto vederci chiaro. E, soprendentemente, è arrivata la conferma. Sempre anonima, perché in questa fase nessuno ha voglia di scoprire le carte (le proprie), mentre invece sembra prepotente la voglia di rompere il gioco dei “soliti noti” prima che la vergogna – ma soprattutto l’ira della base democratica – travolga il Nazareno facendo implodere il partito senza la necessità rendere le primarie una guerra di successione o scomodare rottamatori di prima o seconda fascia.

Ecco, succede che dentro il Partito Democratico sono proprio sicuri di vincere le prossime elezioni. E’ vero che, complice il Pdl, ma anche l’Udc, si stanno ritagliando una legge elettorale dove nessuno esca davvero sconfitto, ma il gotha del partito è davvero convinto che stavolta conquisterà il potere e lo conserverà a lungo. “I sondaggi – ci dice la nostra fonte, che dalla prima linea dei “rottamatori” ha tutto l’interesse a svelare gli altarini dei “padri nobili” – non lasciano spazio a dubbi; se andassimo a votare domani, il Pd sarebbe il primo partito con una percentuale bulgara di oltre il 30% dei consensi”. Ma non si va a votare domani e, a meno di improvvisi strappi, le urne si apriranno solo ad aprile 2013. “Infatti il calcolo che fanno ‘i capi’ – prosegue la nostra fonte – è quello di una grossa coalizione dove, però, i democratici abbiamo un ruolo prioritario; i centri nevralgici del nuovo assetto politico li dovranno avere loro”.

Come? Eccoci a quello che Il Foglio ha ribattezzato “il papello del Pd” e a dire il vero ne ha tutta l’aria, anche per il senso evocativo del patto che rappresenta. L’elenco è breve, ma intenso: Bersani (Chigi-Economia). Secondo: Veltroni (Camera). Terzo: D’Alema (Esteri, Commissario Europeo). Quarto: Bindi (Vicepremier). Quinto: Letta (Sviluppo). Sesto: Franceschini (Segretario). Quelli che si leggono sono i nomi che compongono il “patto di sindacato del Pd”, e quelli che invece si leggono tra parentesi sono gli incarichi offerti o richiesti in vista del 2013: presidenza della Camera; ministro degli Esteri, o Commissario europeo; vicepresidenza del Consiglio; ministero dello Sviluppo; segreteria del partito. In alcuni casi si tratta di promesse esplicite, in altri casi di semplici richieste, in altri casi ancora di singole offerte. E per capire quello che sta succedendo nel partito in questi ultimi mesi, non si potrebbe prescindere da questo “papello”, almeno a detta delle fonti interne.

Quello a cui si sta lavorando nelle segrete stanze del Nazareno, insomma, è esattamente quello che esplicita ogni giorno Casini che ha avuto un ruolo non secondario nel disegno di questa strategia per il dopo Monti. Ovvero? Rieccola: la Grosse Koalition. Che implica, per quanto riguarda gli assetti interni al Pd “di governo”, che dietro la stessa barricata ci siano storici nemici giurati come Bindi e Franceschini o come D’Alema e Veltroni e che al momento, almeno così si racconta, si ritrova impegnata su alcuni fronti tutti a loro modo importanti: garantire al segretario un appoggio solido in una fase delicata come quella che sta attraversando l’Italia; tenere insieme sotto un unico tetto le anime in movimento del Pd (montiani, anti montiani, camussiani e anti camussiani, liberisti e anti liberisti); muoversi con cautela per non compromettere nel 2013 l’alleanza con il centro di Casini; fare di conseguenza di tutto per non accelerare troppo il percorso che dovrebbe portare da qui alle prossime elezioni alle primarie.

Ma, soprattutto, difendere con tutte le forze possibili il nucleo storico del partito dagli attacchi degli “sfascisti del Pd” (insomma, Renzi e compagnia) preservando così quel centro dei “grandi azionisti”, unico consesso – a loro dire, ovviamente – che può essere in grado (per esperienza e competenza, sa va sanz dire) di traghettare il partito lungo questa fase storica non adatta a “inesperti giovinastri in carriera”. In poche parole: dentro il Nazareno si stanno attrezzando per far finta di cambiare tutto perché nulla cambi ma, soprattutto, per mantenere intatte (e, casomai, esaltarle ancora di più) quelle rendite di posizione che hanno impedito fino ad oggi qualsivoglia ricambio interno, anche quello più flebile e meno minaccioso per i volti di sempre della (ex) sinistra italiana.

“Sembra di vivere all’interno di una specie di ‘congresso di Vienna’ in servizio permanente effettivo – ha raccontato al Foglio la fonte primaria – un congresso cioè in cui la regola, come nel primo dopoguerra, sembra essere quella di agire sullo spirito del ‘Conservare progredendo’ e in cui ovviamente i ‘big’, in questo contesto, hanno interesse a mantenere certi equilibri e a non mettere in discussione alcune rendite di posizione”. La nostra fonte, di certo più ruspante, ma non meno avvezza alla frequentazione di quelli che contano, la vede invece così: “La conservazione di alcune posizioni è senza dubbio la priorità di alcuni – sostiene – ma il vero motivo di questo movimento centripeto (tutto verso il ‘cuore’ del sistema, ndr) è che si deve ergere un muro granitico intorno alla segreteria per evitare con ogni mezzo le primarie; qualcuno dei ‘big’ l’ha già detto da tempo, che con il segretario in lizza, le primarie diventano sostanzialmente inutili. Nessuno lo ammetterà mai, ma Renzi fa paura e Vendola è certamente in grado di scompaginare, forse in modo definitivo, gli equilibri, già precari, del partito. Perché poi, se si fanno le primarie e si rompe il giocattolo, allora potrebbero alzare la voce anche i popolari che dall’alleanza con Casini pensano di guadagnare più di un posto al sole, figurarsi..”.

Appunto, i “centristi” del Pd. Nessuno ha pensato di escluderli, anzi di ritagliare per loro qualche ruolo di “cerniera” tra l’esecutivo (prossimo), l’Udc e – perché no – l’ala moderata del Pdl, lontana dagli ex An. Ai Fioroni e ai Carra, per dirla tutta, potrebbe essere riservato qualche sottosegretariato di spicco da dove dirigere giochi, equilibri e strategie della prossima spartizione di potere. Il tutto, ovviamente, nel nome della tenuta del “sistema Paese” e del garantire all’Italia quelle riforme “che servono allo sviluppo”. “E’ comunque un ‘papello’ scritto sulla carta velina – ragiona in conclusione la nostra fonte – anche perché bisognerà vedere quel che farà Monti nei prossimi mesi. Se davvero, cioè, sarà in grado di arrivare alla fine della legislatura portando a casa qualche risultato concreto sul fronte dello sviluppo, altrimenti questi assetti potrebbero essere rivisti: per loro, comunque (il “gotha” democratico, ndr) l’unica vera priorità è restare dove stanno e contare di più. Non disturbare il manovratore, insomma…”. Che pare proprio diventata la moda del momento. A tutti i livelli.