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Usa, niente norme più severe sulle armi. Così le lobby influenzano la politica

In segno di rispetto per le vittime della strage di Aurora, Barack Obama e Mitt Romney hanno cancellato, nella giornata di venerdì, tutti e loro impegni elettorali. Le associazioni favorevoli al gun control attaccano i produttori del settore, che in questi anni hanno bloccato ogni tentativo di regolamentarlo, ma sono scettiche su un possibile cambiamento

In segno di rispetto per le vittime della strage di Aurora, Barack Obama e Mitt Romney hanno cancellato, nella giornata di venerdì, tutti i loro impegni elettorali. Il presidente Usa, che ha ricevuto la notizia mentre si trovava in Florida, ha detto di “avere il cuore a pezzi”, e ha assicurato che la sua amministrazione farà tutto il possibile “per portare il responsabile davanti alla giustizia americana”. Mitt Romney, che si trovava in tour elettorale in New Hampshire, ha invece spiegato di “essere profondamente addolorato per un episodio di violenza senza sensso”, aggiungendo di pregare per le famiglie delle vittime.

Eppure, nonostante le condoglianze di rito, i 12 morti di Aurora non cambieranno  il modo in cui gli americani comprano, usano, controllano le loro armi. Se ne devono essere resi conto immediatamente anche i gruppi che da anni chiedono legislazioni più restrittive in materia. Il Violence Policy Center e un’altra dozzina di associazioni favorevoli al gun control hanno emesso un comunicato congiunto in cui attaccano “un’industria delle armi militarizzata e fuori controllo”, che in questi anni ha bloccato ogni tentativo di regolamentare il settore. La frustrazione di questi gruppi si è diretta soprattutto contro l’amministrazione Obama, su cui molti sostenitori del gun control avevano riposto speranze ed aspettative quattro anni fa, e che non ha fatto praticamente nulla per limitare vendita e uso delle armi da fuoco. Rispondendo all’affermazione di Obama di avere “il cuore a pezzi”, Dan Gross, presidente della Brady Campaign, ha detto polemicamente: “Non vogliamo simpatia. Vogliamo fatti concreti”.

La delusione e la rabbia di chi in questi anni ha combattuto la lobby delle armi – e la politica che ha obbedito ai suoi ordini – è del resto comprensibile. La High School di Columbine, dove nel 1999 vennero uccisi 12 ragazzi e un insegnante, si trova a nemmeno mezz’ora di macchina da Aurora. Eppure, in 13 anni, nulla è praticamente cambiato. Nonostante gli sforzi per rendere più severa la legislazione, in Colorado è ancora possibile tenere un’arma carica in macchina, o comprare un revolver o un fucile senza nemmeno essere registrati. Il porto di un’arma nascosta, che pure richiede una licenza, è altrettanto facilmente ottenibile, perché il Colorado è uno dei 38 “shall issue States”, cioè uno degli Stati in cui il richiedente (se rispetta tutti i requisiti richiesti) non può vedersi rifiutata la domanda.

A parte il Colorado (un “Mountain State” con un’antica tradizione di sostegno e difesa del Secondo Emendamento) è comunque l’intera strategia nazionale dei gruppi anti-armi ad aver in questi anni incontrato difficoltà praticamente insormontabili. Decine di deputati e senatori hanno beneficiato dei contributi dei produttori di armi per le loro campagne elettorali. A questo si aggiungono i 4 milioni di membri della National Riffe Association (organizzazione per i possessori di armi), concentrati soprattutto in swing States (Stati ‘indecisi’) come Ohio, Pennsylvania, Virginia, fondamentali per ogni candidato che voglia conquistare la Casa Bianca.

Barack Obama, come i suoi predecessori, non ha avuto nessuna intenzione di alienarsi una fetta di voto così importante, né ha ritenuto politicamente interessante fare una battaglia su una questione che, in America, non sembra interessare molti. Un sondaggio della Gallup del 2010, mostrava che in 20 anni il sostegno a misure più severe su acquisto e porto d’armi è calato del 34%. Secondo Dan Gross della Brady Campaign “Obama fa un semplice calcolo politico”. In realtà, a parte lo sdegno, l’emozione, il terrore a ogni massacro di innocenti, il gun control non sembra raccogliere consensi particolari nella società americana. Senato, Camera, i vari Stati non agiscono o agiscono poco proprio perché nell’elettorato non esiste una vera richiesta di inasprire la regolamentazione nei confronti di fabbricanti e venditori di armi. In più, la strategia dei gruppi anti-armi è stata, in questi anni, poco incisiva. Il Brady Center e le altre associazioni si sono battute soprattutto per approvare due misure: un bando alle armi d’assalto e controlli più severi sul passato criminale di chi acquista un’arma. Nessuna delle due norme avrebbe impedito a James Holmes, il probabile sparatore di Aurora, di dotarsi di un vero arsenale militare.

Ecco perché nulla o quasi cambierà con ogni probabilità negli Stati Uniti nei prossimi mesi. Lo sanno nelle stanze della politica di Washington, lo sanno i gruppi pro e contro le armi, lo sanno i media e la società civile. Il commento più cinico, ma in fondo realistico, lo ha fatto al Washington Post Matt Bennett, fondatore di Third Way, un think-tank della Capitale: “Non è successo niente quando hanno sparato in testa a un deputato (allusione all’attacco contro la deputata democratica Gabrielle Giffords). Non succederà niente nemmeno ora, con una dozzina di ragazzini ammazzati in un cinema. E’ la terribile verità, ma è la verità”.