Politica

La Lega di Maroni vive se “muore” Bossi

Se Maroni non si libera di Bossi definitivamente rimarrà incastrato all’infinito nella grottesca sceneggiata da asilo mariuccia che il vecchio leader sta recitando ormai quotidianamente. “Il capo sono io”, “no: sono io”.

I due battibeccano in continuazione su ciò che in politica non è mai stato tradotto a parole: il potere. I grandi leader di un tempo (Churchill, Tachter, Enaudi, Togliatti) non avevano bisogno di far pesare l’incarico che avevano nel partito. I potenti della prima Repubblica (Andreotti, Craxi su tutti) si facevano valere regalando pezzi dello Stato e facendosi così riconoscere il potere di distribuzione tangentista e nepotista che ha devastato il Paese. Il leaderuncolo della seconda Repubblica (l’unico è Silvio Berlusconi) ha letteralmente comprato un esercito di uomini e donne, li ha toccati ed essendo unto dal signore li ha miracolati di uno scranno alla Camera o al Senato. Ha così conquistato la reverenza dei sottoposti verso il capo-padrone.

Come Forza Italia (e Pdl) anche la Lega è stato un movimento di un solo uomo: Umberto Bossi. Il Capo indiscusso. Ciò che il Senatùr diceva era legge. E non andava per il sottile.  Riuscì a “licenziare” Irene Pivetti dopo averla fatta nominare presidente della Camera. Il tagliatore di teste era Roberto Calderoli. “Se il Capo me lo chiede espello anche me”, obbediva a comando l’odontotecnico bergamasco. E Bossi non aveva bisogno di ripetere che il Capo era lui, perché erano gli stessi leghisti a gridarglielo a ogni comizio: “Bossi è la Lega, la Lega è Bossi”. Lo ripeteva anche Maroni, fino a pochi mesi fa. Poi gli scandali legati a Francesco Belsito e il cerchio magico, la cacciata con spadone fiammeggiante di Rosi Mauro e gli altri, hanno portato la Lega nelle mani dell’ex titolare del Viminale, eterno delfino del Trota senior.

Ma per quanto il congresso abbia eletto segretario Maroni quasi a unanimità, per quanto le segreterie nazionali (nella geografia leghista così sono chiamate le singole regioni) siano ora saldamente in mano a uomini fidati del Barbaro Sognante, per quanto la segreteria federale e quella politica siano più maroniane di Maroni, lui è costretto a ripetere ormai quasi ogni giorno che Bossi non comanda più e che il Capo è solamente lui.

Sicuramente Bobo conosce bene il Senatùr e sa che non è tipo da mollare facilmente. Quindi deve scegliersi una strategia più incisiva. Potrebbe ad esempio non rispondergli più, confidando nell’oblio del silenzio. Oppure potrebbe, più semplicemente, cacciarlo. E’ vero, Bossi è stato nominato presidente onorario. Ma se non accetta il ruolo marginale e “affettivo” che gli è stato riservato deve prendere la porta e andarsene. Anche perché altrimenti Maroni, che ogni giorno pubblica sul suo profilo facebook i dati dei sondaggi che danno il Carroccio in ripresa, sarà costretto a veder morire la Lega tra le sue mani e si sentirà accusato di esserne il responsabile perché ne era alla guida. Si rilegga il Principe di Macchiavelli. Maroni scoprirà che il peggior nemico è colui che è stato sconfitto in battaglia ma lasciato in vita.