Cronaca

Il ‘sistema Daccò’ in Lombardia: “Aiutare gli amici degli amici”

Renato Botti, direttore generale dell’assessorato alla sanità della Regione Lombardia dal 1997 al 2002, ricorda i 'consigli' ricevuti dal faccendiere vicino a Roberto Formigoni: "Avrei dovuto favorire imprenditori, ovvero enti ospedalieri e istituzioni private che mi fossero state segnalate"

Compito: “Aiutare gli amici degli amici”. È quello che il superfaccendiere della sanità Pierangelo Daccò impone a chi viene messo ai vertici dell’amministrazione regionale. A raccontarlo è uno dei protagonisti della vicenda San Raffaele: Renato Botti. Le sue dichiarazioni, inedite, sono contenute nell’informativa della polizia giudiziaria su Roberto Formigoni consegnata il 27 giugno alla procura di Milano. Disegnano in maniera plastica la figura dell’intermediario Daccò. Botti, tra 1997 e il 2002, è il direttore generale dell’assessorato alla sanità della Regione Lombardia (la stessa poltrona sulla quale siede oggi Carlo Lucchina, indagato per alcuni appalti in diversi ospedali lombardi). Dopo l’esperienza in Regione, approda alla direzione generale del San Raffaele, poi precipitato in una crisi finanziaria da un miliardo e mezzo di euro.

Prima ai vertici dell’amministrazione pubblica, poi al centro di un grosso polo privato, Botti diventa uno dei grandi esperti della sanità “alla milanese”. Il 31 maggio 2012, viene chiamato dai magistrati che indagano sugli 80 milioni di fondi neri che escono dalla Fondazione Maugeri e, manovrati da Daccò, svaporano in decine di conti esteri o in contanti destinati chissà a chi. Al termine dell’interrogatorio, gli investigatori annotano: “La testimonianza di Botti assume rilievo per valutare le competenze specifiche di Daccò”. Che cosa racconta Botti? “Nel 2000, alla scadenza del primo mandato, ricordo che Daccò mi fece un discorso molto chiaro dicendomi che avrei dovuto, nella mia attività, aiutare gli amici degli amici”.

Il messaggio è chiaro. “Io avrei dovuto favorire imprenditori, ovvero enti ospedalieri, istituzioni private che mi fossero state segnalate da loro”. Chi sono “loro”? Daccò “si presentava come referente di Formigoni e Giancarlo Abelli”, parlamentare del Pdl vicino a Silvio Berlusconi. Dalle parole ai fatti: Daccò investe Botti con diverse proposte. Tra queste c’è l’aumento dei rimborsi per i ricoveri in riabilitazione. “Ho associato la sua richiesta all’interesse sia del Fatebenefratelli che della Maugeri”, spiega l’ex alto dirigente della Regione. “Mi disse che il presidente era d’accordo e che voleva questo tipo di provvedimento”. Botti tenta comunque una verifica, chiede ai suoi tecnici una valutazione. Il verdetto è negativo: le cifre dei rimborsi non devono essere ritoccate. Daccò però insiste: “Il presidente è d’accordo”. Botti, allora, chiama il segretario generale della Regione, Nicola Sanese, il quale dice che si sarebbe rivolto a Formigoni. Poi torna dal direttore generale con un’indicazione: “Se il provvedimento non era fattibile tecnicamente allora non si doveva fare”.

Come reagisce Daccò? “Si incazzò moltissimo”. Passò alle minacce. “Venne da me e disse che mi ero mostrato irriconoscente nei suoi confronti in quanto egli mi aveva fatto nominare direttore generale della Sanità e io mi ero permesso di rifiutare di dare corso a una sua richiesta”. Risultato: “Chiaramente questo episodio ha segnato la rottura dei rapporti tra me e Daccò, tant’è che non ci siamo mai più parlati” . Renato Botti disegna per i magistrati un preciso profilo del faccendiere: spiega che “non ha competenze tecniche” e nonostante questo “pretendeva” che le sue richieste “fossero risolte in tempi rapidi”. Alle sue spalle, Roberto Formigoni: “Se non avesse avuto quel rapporto diretto con il presidente, non lo avremmo assolutamente assecondato e sopportato”. Conclusione: “Questo atteggiamento e queste raccomandazioni nel tempo sono diventati più intensi e pressanti. Un cancro che è andato via via ampliandosi”.

Completa il ritratto Pierino Zammarchi, imprenditore coinvolto nell’indagine sul San Raffaele: “Mario Cal (l’ex vicepresidente dell’ospedale San Raffaele morto sucida l’anno scorso, ndr) mi disse: ‘Pierangelo Daccò è l’uomo di Roberto Formigoni e di Cl’”. “Era un uomo taciturno e non ho mai capito bene cosa facesse”. Lobbista? Uomo di pubbliche relazioni? Zammarchi, come Botti, calca la mano sul curriculum inesistente di Daccò: “Non ha la minima competenza professionale nel campo della ricerca scientifica”. Infatti “abborracciava contratti che erano privi di qualsivoglia pregio professionale” ed erano “destinati esclusivamente a coprire (e giustificare) ingenti flussi finanziari illeciti”.

da Il Fatto Quotidiano del 21 luglio 2012