Politica

Il Di Paola Furioso, gli F-35 e diecimila posti di lavoro

Il Di Paola Furioso è proprio fuori dai gangheri. “C’è nell’aria un furore ideologico contro le Forze armate” dice oggi in un’intervista al Corriere della Sera. Orpo, non se n’era accorto nessuno. Di fronte ad un allarme così preciso uno continua a leggere e scopre che il “furore ideologico” è di quanti ritengono superflui gli F-35, che invece all’ammiraglio-ministro sembrano davvero troppo fighi per farne a meno. E attenti, sottointende, perché con l’acqua sporca rischiate di buttare via anche il bambino, che sarebbero diecimila posti di lavoro. E chi se lo può permettere di questi tempi?

Omettiamo per il momento il fatto che per potersi pagare gli F-35 (cacciabombardieri di nuova generazione così segreti che i nostri ingegneri non possono stare negli uffici di progettazione nonostante l’Italia abbia già pagato dollari sonanti per essere partner degli americani) la Difesa dovrà licenziare 30 mila militari e 10 mila civili. Ma quelli non sono posti di lavoro: sono statali. Omettiamo anche che ci costeranno solo per l’acquisto tra i 13 e i 15 miliardi di euro, senza contare i quasi 3 miliardi già pagati per entrare nel progetto, per costruire uno stabilimento vicino Novara e per rimettere a nuovo le basi di Amendola e Grottaglie. Omettiamo tutto, ma diecimila posti? Una balla. Lo sanno tutti, salvo il ministro, che quella dei diecimila posti di lavoro è una favola, per di più senza lieto fine. È dal 2007 che periodicamente qualcuno la racconta. Il primo fu, nel 2007, Lorenzo Forcieri, Pd, allora sottosegretario alla Difesa, uno dei più convinti esponenti del complesso militare-industrial. Anzi militare-politico-industriale. Poi Guido Crosetto, pdl, sottosegretario di La Russa. Ma anche lui ha un cuore tecnologico.

I fatti veri sono altri, come spiegava ad esempio Gianni Alioti, responsabile dell’ufficio internazionale dei metalmeccanici Cisl, in un intervista del febbraio 2012 a Città Nuova (rivista del movimento dei focolari). “Secondo quanto previsto, il personale addetto a Cameri per gli F35 dovrebbe raggiungere, a fine 2012, le 111 unità produttive (operai) più un certo numero di tecnici e supervisori (attualmente le persone impiegate sono circa 60)” spiega Alioti, che continua: “Se consideriamo, oltre alla base di Cameri, anche tutti gli altri  lavoratori che saranno impegnati in Italia (le 40 aziende di cui si parla) nel programma F35 non si supereranno le mille e 500 unità. Se togliamo alcune centinaia di nuove assunzioni a Cameri, il resto sono lavoratori già occupati in queste 40 aziende che saranno spostate sul programma F35”.

Dunque mancano almeno 8500 lavoratori alla cifra enunciata dal Di Paola Furioso. Ammesso che tutto vada come si spera, e cioè che la Lockheed dia da produrre all’Italia quel migliaio e più di ali che ci hanno promesso. A una condizione: che i costi di produzione italiani siano almeno pari, se non inferiori a quelli della Lockheed stessa. Cosa impossibile, se non altro perché la società americana di ali ne produrrà molte di più, dunque costeranno unitariamente meno. E a dirlo non è un pacifista, magari anche comunista. È l’insospettabile generale ispettore capo Domenico Esposito, direttore generale degli armamenti aeronautici del Ministero della Difesa il 1 febbraio scorso alla Commissione difesa della Camera:  “È vero che i documenti ufficiali indicano che l’Alenia è la second source – e, quindi, la Lockheed Martin effettua le lavorazioni e poi dà all’Alenia l’eccesso delle lavorazioni stesse o quanto è previsto per contratto – tuttavia l’Alenia deve essere competitiva, non può lavorare a costi superiori alla Lockheed Martin”. Ohibò. C’è il rischio che per far lavorare Finmeccanica il Governo debba pagare la differenza dei costi, come denunciava qualche mese fa il sito specializzato Defense Aerospace.

Per cui diecimila posti: bye-bye. In compenso siamo certi che, dopo i 13-15 miliardi per comperare gli F-35, noi italiani dovremo pagarne un’altra trentina (di miliardi) solo per farli volare, cioè un miliardo all’anno per i previsti trenta anni di vita utile dell’aereo. La cifra discende dal trilione (mille miliardi) di dollari che gli statunitensi stimano costerà il mantenimento della loro flotta. Somma che, fatte le proporzioni, coincide dollaro per dollaro con quella stimata nel marzo 2011 dall’Office of the Parliamentary Budget Officer canadese nel rapporto An Estimate of the Fiscal Impact of Canada’s Proposed Acquisition of the F-35 Lightning II Joint Strike Fighter. Furore ideologico.