Cronaca

Reggio Calabria, come ‘ndrine e massoni governano la città

Centinai di pagine consegnate dagli 007 al Viminale. Nel dossier si racconta quel misto orrendo di ‘ndrangheta, malapolitica, massoneria, che soffoca la città e ne uccide le speranze. Le indagini vogliono capire se al Comune comanda la mafia o resiste ancora una parvenza di legalità

La città “abbampa”. L’Aspromonte è avaro di venti e anche il mare dello Stretto è immobile. I disgraziati di Ravagnese hanno occupato l’aeroporto, il depuratore del loro quartiere è saltato spargendo miasmi insopportabili tra vicoli e case. “Merda vera”, precisa un omone in bermuda. Donne, vecchi e bambini ammorbati dalle acque luride maledicono il sindaco: “Compare Arena, se la città puzza è colpa tua”. Ma fosse solo questa la melma che avvelena Reggio Calabria! La peste vera, quel misto orrendo di ‘ndrangheta, malapolitica, massoneria, che soffoca la città e ne uccide le speranze, è raccontata in modo impietoso in un dossier. Centinaia di pagine che gli 007 mandati dal Viminale per verificare se al Comune comanda la mafia o resiste ancora una parvenza di legalità, hanno consegnato al prefetto. La radiografia di un pezzo di Repubblica italiana dove politici e mafiosi sono seduti allo stesso tavolo a spartirsi appalti e affari delle municipalizzate. La “costante umiliazione degli onesti”, la chiamava Giorgio Bocca. E allora iniziamolo il viaggio negli inferi di una città dove anche le parole sono marce.

I Tegano: “La Multiservizi è nostra”. “La soddisfazione dell’utenza e i comportamenti ispirati alla massima trasparenza e rigore, sono i valori chiave che ispirano la nostra attività”. C’è scritto così nel sito della Multiservizispa,la municipalizzata che si occupa di patrimonio urbano, ambiente (depuratori che scoppiano compresi), fino alla manutenzione degli uffici giudiziari. Non c’è più e i 300 lavoratori non sanno a che santo votarsi. La società è stata sciolta perché il 49 per cento delle sue quote era praticamente in mano alla ‘ndrangheta. Leggete cosa scrive il prefetto Vittorio Piscitelli che si è rifiutato di mettere la sua firma sotto la certificazione antimafia richiesta dalla Gesip il socio di minoranza. Ci sono forti “collegamenti personali, economici e familiari, fra alcuni componenti della compagine sociale” e boss mafiosi. Anche molti dipendenti sono “in odore” perché “gravati da pregiudizi personali riconducibili a fatti di mafia”, e fornitori ai quali la Multiservizi staccava assegni da centinaia di migliaia di euro “che non potevano avere la certificazione antimafia”. Che la Multiservizi fosse diventato il terreno di pascolo della ‘ndrangheta imprenditrice lo dicono i pentiti e le inchieste giudiziarie.“La società è gestita da noi Tegano”, ha rivelato Roberto Moio, il genero di Giovanni Tegano, uno dei big-boss della città. Moio è uno che sa tante cose, ma soprattutto ha le idee chiarissime sul potere in riva allo Stretto. “A Reggio la ‘ndrangheta è la politica e la politica è la ‘ndrangheta”. Per conquistare la Multiservizi i Tegano hanno addirittura fatto concorrenza alla Fiat. La multinazionale torinese, che nel 2002 decide di sbarcare al Sud e di entrare in società col Comune di Reggio attraverso la Ingest Facility, quattro anni dopo, inspiegabilmente, vende le sue quote a due privati, che subito dopo le rivendono ad un altro socio. Si tratta di Giuseppe Rechichi, un mafioso in blazer, uomo di fiducia dei Tegano. E’ finito in galera insieme ad un altro personaggio della Reggio bene, Giovanni Zumbo, un commercialista a disposizione, amico di mafiosi, uomini dei servizi e massoni. “Don Mico Libri li chiamava i nobili. Non li toccate, ci diceva”. E’ Nino Fiume, killer e cognato dei De Stefano (il casato di ‘ndrangheta che ha il controllo degli affari in città), a raccontare al pm Giuseppe Lombardo il potere in città. “Da noi venivano politici che valevano venti, trenta voti e se ne ritrovavano migliaia. Posso contare voto per voto a chi li ho dati”. Pino Plutino è berlusconiano fino al midollo e fedelissimo del governatore Peppe Scopelliti. Era consigliere comunale da almeno dieci anni quando lo hanno arrestato per concorso esterno in associazione mafiosa perché ritenuto vicinissimo alla cosca Caridi. Il Pdl e Scopelliti non hanno avuto mai remore a candidarlo, nonostante un passato che lo ha visto finanche latitante.

Tutti i fedelissimi di Scopelliti. Alle ultime elezioni la sua segreteria, il circolo “Caccia, sviluppo e territorio”, era il quartier generale della cosca Caridi. Qui, tra una beccaccia imbalsamata e manifesti elettorali, si parlava, scrive il pm dell’antimafia Marco Colamonici, delle deleghe che avrebbe avuto Plutino e “di come gli incarichi eventualmente assunti in seno all’amministrazione comunale , fossero di interesse della cosca”. E allora i voti per Pino si facevano senza andare tanto per il sottile, anche “con metodi intimidatori”. Parentele, amicizie, comparaggi, i legami tra politica e mafia a Reggio si cementano così. E quando il politico viene scoperto si indigna, protesta, urla al complotto. L’avvocato Luigi Tuccio fino a poco tempo fa era assessore all’Urbanistica. Figlio di un magistrato molto noto in città (nel 1987 fu candidato al Senato per la DC), si dimette quando gli arrestano la suocera. La “triste vicenda” di ergastolani e cognati L’accusa per la donna è di aver favorito la latitanza del killer Domenico Condello, “Micu u pacciu”, ma solo in quella occasione l’assessore scopre di essere cognato di un altro Con-dello, l’ergastolano Pasquale junior. “Soltanto oggi – detta commosso ai giornali – ho appreso questa triste vicenda”. Ma il clou lo tocca l’assessore Pasquale Morisani, delega pesante ai Lavori Pubblici. Quando i pm dell’antimafia gli chiedono spiegazioni sui suoi rapporti, giudicati troppo intimi, col presunto boss di Pietrastorta Santo Crucitti fa spallucce. “Ha votato per me? Si tratta di una iniziativa spontanea e personale non richiesta”. Crucitti viene arrestato e scarcerato, e l’assessore lo frequenta, perché con lui “i rapporti sono rimasti sostanzialmente normali”. Santo gli dava sempre buoni consigli in campagna elettorale: “Pasqualino segnateli i voti, che a questi qua poi gli dobbiamo dare…”. Dare in cambio di voti,vendersi la città a un passo dallo scioglimento per mafia. È già accaduto nel 1869, ricorda lo studioso Enzo Ciconte. Un prefetto del Regno ebbe coraggio. Ora si aspetta che anche la Repubblica rialzi la testa.