Piacere quotidiano

Aperitivo in pescheria, tra chic e cattivo gusto

Lo chiamano anche ‘aperifish’: la moda del pesce crudo prêt-à-manger è decollata da qualche anno e si è sviluppata prima a Milano e Torino, poi lungo tutto lo stivale, da Roma a Cagliari a Catania

Il bancone di capesante e ostriche crude sembra sorridere: ma sarà poi vero che è un cibo afrodisiaco? E poi da quando le pescherie sono diventate un luogo di ritrovo raffinato? Ma soprattutto, sarà un errore portare quella giovane e avvenente fanciulla conosciuta in palestra a prendere un aperitivo in pescheria? L’odore non è sempre dei migliori, in fin dei conti è sempre una pescheria. Ma il pesce è fresco e la “Grande Talpa” che coordina le serate più in di Milano ha oramai sdoganato questi locali. Insomma il sushi direttamente in pescheria senza passare per i finti giapponesi gestiti da cinesi (e quindi meno cari) o evitando i super-chic giapponesi, veri sì ma molto costosi.

La moda del pesce crudo prêt-à-manger è decollata da qualche anno e straordinariamente si è sviluppata prima nelle grandi città lontane dal mare come Milano e Torino, diffondendosi poi un po’ lungo tutto lo stivale, da Roma a Cagliari a Catania. Lo chiamano anche ‘aperifish’, insomma il caro e vecchio aperitivo prima di cena, però in un luogo “diverso” come la pescheria. Che lontana dai consueti stereotipi si tira a lucido, mette il vestito della festa e prova ad attirare una clientela selezionata. Così a tarda serata puoi trovare la signora che tornando a casa si fa incartare i gamberoni per la cena del marito a poca distanza dal gruppetto di amici che si attarda per due chiacchiere e un bicchiere. Individuare l’epicentro di questa nuova tendenza è difficile, ma con tutta probabilità si deve guardare – come spesso accade – a Milano e in particolare al quartiere modaiolo per eccellenza del capoluogo meneghino, cioè Brera, una volta vera fucina di novità per tutto il Paese. È qui, da Claudio, la pescheria di via Cusani, che il pesce fresco è diventato aperifish. Presto seguito da I Pesciolini, in corso di Porta Romana. Ma anche Torino non è da meno con La Pescheria di via San Francesco da Paola, dove spada, tonno, salmone e tartare di pesce aspettano i dopolavoristi. Un calice di vino e una porzione di carpaccio abbarbicati su trespoli, come tanti uccelli da voliera.

Poi è arrivata Roma, dove il FishMarket, partendo dalla decentrata via di Pietralata, ha dapprima spaccato in due la città dividendola in entusiasti/contrari, e poi ha sferrato il colpo di grazia aprendo una succursale nel cuore di Trastevere che sta sbaragliando il mercato a colpi di cartoccetti low cost di moscardini fritti e bicchieri di prosecco. A dispetto delle critiche dei consumatori più attenti. Esito decisamente diverso è quello che l’esperimento dell’aperifish ha dato a Bari dove, poche settimane dopo l’apertura in pieno centro, anche un nome affermato come quello di Ciccill U’ Gnore ha dovuto chiudere. I baresi, vere autorità nel campo, sono stati chiari: un conto è vendere e comprare pesce fresco, un conto è mangiarlo. A questo punto rimangono aperti i quesiti di cui sopra.

Se consumare un aperifish contribuisca a scatenare i sensi non sappiamo, visto che a Milano l’unico deterrente alla passione sembra essere ancora il troppo lavoro. Di altra natura è il problema se le pescherie siano luogo raffinato; qui la risposta è sicuramente sì, perché l’eleganza è uno stato che si raggiunge con pochi accorgimenti anche se, certo, l’odore di pesce non aiuta. Cosa ne è stato, infine, della giovane e avvenente fanciulla? Non è dato saperlo, anche se mi piace pensare che sia andata via perché realmente aveva da recuperare dei documenti “importantissimi” in ufficio.

di Massimiliano Carbonaro