Società

La Costituzione vista dai detenuti

Entro in classe e trovo gli studenti che discutono animatamente: “Ma che stai a di’…”, “A perché secondo te…”, “No, sei tu che hai detto che…”. Non si tratta di rapine o, come speso accade, di reati mal tollerati. Tutt’altro. La disputa verte su un libro che ho lasciato in prestito. Capita spesso di dare qualcosa da leggere ai nostri “scolari”: sono lettori insaziabili, onnivori. Quando uno finisce di leggere, gli altri chiedono di poter avere il libro prima che mi sia restituito. Stavolta si tratta di Cos’è la Costituzione, di C.A. Jemolo, con lunga prefazione del sommo Zagrebelsky. Un buon testo, che amplia la visuale sulle tante diverse forme alternative che può assumere una “legge fondamentale“.

Negli ultimi giorni abbiamo approfondito, anche con un compito scritto, il tema sempre attuale delle riforme istituzionali. Abbiamo analizzato gli ultimi due articoli della nostra Costituzione: il 138 stabilisce la procedura aggravata necessaria per le modifiche o le aggiunte da apportare. Doppia deliberazione, tempi minimi, maggioranze qualificate, possibilità del referendum confermativo. E’ per questo che la nostra Costituzione si definisce rigida e abbiamo una Corte Costituzionale che ha il compito di interpretarla e la tutelarla. Rispetto a altre democrazie, tuttavia, la nostra Carta risulta relativamente flessibile: si può cambiare con una certa facilità, com’è avvenuto quando i parlamentari si sono trovati d’accordo.

L’articolo 139 pone l’unico limite espresso alle modifiche costituzionali: la forma repubblicana non è soggetta a revisione. Abbiamo visto come l’interpretazione di tale disposizione possa essere restrittiva o estensiva. La dottrina è concorde nel ritenere che ci siano parti della Costituzione che non possono essere cambiate: non solo i principi fondamentali o, come dice qualcuno, i diritti inviolabili della prima parte della Costituzione. Ci sono dei principi supremi – alcuni dei quali impliciti, non scritti in singoli articoli – che se fossero eliminati usciremmo dalla democrazia e dallo Stato di diritto. Dovremmo passare a un’altra “repubblica” o a un’altra forma di Stato. 

Il vivace dibattito si è inoltrato sui diritti della maggioranza contrapposti a quelli delle minoranze. Alla fine, dal tipo dell’ultimo banco emerge una proposta concreta. Le Costituzioni di tutti gli Stati che si definiscono democratici dovrebbero contenere una clausola, per porre un ulteriore limite invalicabile: non è possibile apportare modifiche se non per ampliare e meglio garantire i diritti e le libertà. Questi non dovrebbero – in nessun modo, benché formalmente legittimo – mai essere compressi o soppressi. “Si no, nun è più democrazia, stamo a parla’ de n’altra cosa, professò’” suggerisce lo studente romano.