Politica

Liste civiche, istruzioni per l’uso

D’improvviso “tutti le chiedono, tutti le vogliono…”. Stiamo parlando delle liste civiche, diventate di colpo, proprio come il Figaro rossiniano, “il factotum della città”, cioè della politica. Fino a ieri, invece, per chi le proponeva erano solo frizzi e lazzi, o peggio: un irridente silenzio. Questo giornale, praticamente dalla nascita, insiste sulla necessità di liste autonome della società civile (e su primarie vere di coalizione) come antidoto all’avvitamento e imbarbarimento della politica in partitocrazia. Ora si svegliano tutti. Come mai? E soprattutto con quali intenzioni?

Il “come mai?” è semplice e si chiama Movimento 5 Stelle. Ai partiti il disprezzo degli elettori “non scuce un baffo” fino a che si traduce in assenteismo dalle urne (tanto, anche se vota la metà degli elettori, i seggi se li occupano e spartiscono tutti). Se però una percentuale a due cifre trasmigra verso Grillo, per le nomenklature sono dolori: la torta si riduce. Ora, lasciamo perdere il mondo berlusconiano e quello dei finti tecnici, insomma l’establishment e le due destre. Che senso possono e debbono avere, invece, liste civiche e primarie per la rappresentanza del Terzo Stato e per una politica di “giustizia e libertà”?

Eugenio Scalfari vuole una lista civica propiziata da Saviano (anche se non si candida), e caratterizzata da una pregiudiziale: il sostegno al governo Monti. Proprio quello che non vuole la società civile mobilitata nelle lotte e nelle campagne di opinione. Scalfari, in sostanza, vuole una lista di “portatori d’acqua” al Pd, piena di bei nomi e che faccia il pieno dei voti in fuga da Bersani &C.

E non parla di primarie. Lo fanno, invece, i “giovani” della fronda Pd (Civati, Concia, Scalfarotto, ma soprattutto l’anziano Parisi, prodiano doc e fondatore del Pd) che in compenso rifiutano le liste civiche. Ma primarie e liste civiche (al plurale) non possono essere messe in contrapposizione. Sono entrambe necessarie perché nella loro sinergia restituiscano agli elettori democratici un briciolo di sovranità. Altrimenti questi ultimi restano a casa o emigrano chez Grillo. La coalizione di centrosinistra può vincere solo se si apre alla società civile da anni critica e ostile alle scelte di inciuci e subalternità (si chiamino Berlusconi, Marchionne, Monti, anche se non assimilabili). Solo se accetta vere primarie di coalizione, che affidino agli elettori la decisione sul programma politico, di cui i candidati premier in concorrenza – dirigenti di partito, sindacalisti, giuristi, preti… – saranno l’espressione. Bersani accetta la sfida?

Il Fatto Quotidiano, 2 giugno 2012