Diritti

Chen, un attivista tra Usa e Cina

Un cieco che vede lontano come nella migliore tradizione della mitologia greca, ma sopratutto un cittadino comune con una coscienza etica commovente. Chen Guangcheng è nato in una provincia del nordest cinese nel 1971 e all’età di un anno una malattia lo condusse alla più completa cecità. È rimasto analfabeta fino a quando, nel 1994, non fu accettato nella scuola superiore per ciechi di Qingdao. E non fu facile.

I ciechi, secondo una legge della Repubblica popolare cinese del 1991 “per la protezione delle persone fisicamente handicappate”, sono esentati dal pagare le tasse, anche quelle scolastiche. Così quando alla scuola superiore di Qingdao gli chiesero di pagare l’iscrizione, Chen denunciò una violazione del diritto dei disabili.

Nel 2003,  fece causa alla società statale della metropolitana di Pechino, perché non gli consentiva di viaggiare gratis – esentasse – come la legge stabiliva. Queste esperienze ebbero tutte risultati positivi: il diritto allo studio riconquistato, biglietti della metro effettivamente gratis per i disabili, una discreta copertura mediatica e tutta l’opinione pubblica dalla sua parte.

Quando Chen torna al suo villaggio, lo fa per fare quello che gli riesce meglio: riaffermare i diritti negati. Lo fa così bene, che in paese tutti lo chiamano l’avvocato – pure che il titolo non l’ha mai avuto.

I suoi quattro fratelli passano il loro tempo a leggergli a turno la legislazione vigente. Riesce perfino a impedire a una cartiera di rovesciare rifiuti tossici nel fiume del villaggio. È diventato così famoso che quando si sposa, una televisione locale manda in onda alcune riprese della cerimonia.

Ma a un certo punto fa il passo più lungo della gamba, forse senza neanche accorgersene. In Cina succede.

Molte delle donne della municipalità di Linyi, che avevano già avuto due figli vengono costrette all’aborto del terzo embrione o, addirittura, alla sterilizzazione forzata.

Queste pratiche erano state abbastanza comuni una ventina d’anni prima, quando la legge sulla pianificazione familiare era entrata in vigore.

Ma poi erano state vietate: si può infliggere una multa salatissima  per ogni figlio in eccesso, ma non si può agire direttamente sul corpo delle donne.

Il problema sono funzionari locali: il mancato raggiungimento degli obiettivi del controllo delle nascite  influisce negativamente sulla loro carriera.

I compaesani hanno ragione a lamentarsi e Chen  Guangcheng organizza una sorta di class action e denuncia circa 130mila casi di operazioni  illegali.

All’epoca, era il 2005, fu addirittura intervistato dal Time e alla fine la Commissione nazionale per la pianificazione famigliare gli diede ragione. Non si preoccupò però di tutelarlo. Né lui, né i suoi cari.

Le autorità dello Shandong lo imprigionarono più volte e con differenti scuse fino a quando, nel giugno del 2006, lo condannarono a quattro anni e tre mesi per aver danneggiato immobili e per aver organizzato una manifestazione che aveva bloccato il traffico.

Dopo un lungo periodo di detenzione, il signor Chen esce di prigione a settembre 2010. Dopo 51 mesi di reclusione, si trova rinchiuso “in una cella più grande” con tutta la sua famiglia: arresti domiciliari, senza alcuna motivazione.

Così diventa il simbolo delle libertà negate. Giornalisti e attivisti provano a visitarlo senza successo, e online sono sempre di più i cittadini che indossano gli occhiali da sole per solidarietà nei suoi confronti.

Finalmente il 22 aprile, Chen Guangcheng scavalca il muro di cinta della sua casa-prigione, in una fuga  che deve aver avuto del rocambolesco e che deve essere stata aiutata da molti, raggiunge Pechino e si rifugia nell’ambasciata statunitense.

Ieri, tra lo stupore generale ne esce accompagnato dall’ambasciatore in persona. Poi i funzionari statunitensi spariscono dietro a un comunicato entusiasta della Clinton:

Sono contenta di aver facilitato la permanenza e la dipartita di Chen Guangcheng dall’ambasciata americana in un modo che riflette le sue scelte e i nostri valori.

Peccato che in un’intervista  esclusiva alla Cnn Chen Guangcheng dichiari di aver accettato di uscire dall’ambasciata americana solo perché i funzionari americani lo avrebbero indotto informandolo che la sua famiglia correva seri pericoli. Ora che è fuori, e che può comunicare con l’esterno, sa di essere nuovamente in pericolo.

Ma le relazioni sino-americane valgono più di un avvocato autodidatta. Anche se cieco.

«Ci sono tante e tante persone che la pensano allo stesso modo. Tutti ripetono che questa società è malata per un motivo o per l’altro e che è così buia e oscura. Ripetono tutti le stesse parole.
Ma tu, hai mai pensato che cosa hai fatto per questa società? Anche se pronunciassi solo una parola giusta, se facessi una cosa buona sarebbe già abbastanza. Anche se questa società ha un sacco di problemi, ti basterebbe cambiarne un pezzettino. Fare del tuo meglio. Se tutti si comportassero in questo modo, allora sì che la nostra società cambierebbe».
— Chen Guangcheng