Cronaca

Gip firma l’arresto per Lusi: “Associazione a delinquere, era come il capo di un clan”

Notificata la misura di arresti domiciliari anche per la moglie del senatore e per i due commercialisti. Secondo la Procura, quello con a capo il parlamentare era un sodalizio "finalizzato alla spoliazione del patrimonio della Margherita". Casini: "Voteremo sì all'arresto"

Come il “capo” di “un clan”. Un‘associazione a delinquere votata alla spoliazione, non solo al saccheggio di soldi pubblici, ma alla delegittimazione di un partito. Il giudice per le indagini preliminari Di Roma Simonetta d’Alessandro ha firmato l’ordine d’arresto per il senatore tesoriere di quella che era il partito della Margherita per pericolo di inquinamento delle prove, elencando tutte le bugie dell’ex tesoriere accusato di aver rubato oltre 22 milioni di euro, e definendolo “un franco ostruzionismo” alle indagine. Luigi Lusi deve essere arrestato non solo perché ha rubato, mentito, ma anche perché ha prodotto un effetto “devastante” sulla democrazia con il suo comportamento, avvantaggiato dalla moglie, dai collaboratori, dai commercialisti. “‘Lo spoglio è stato operato dal Lusi in un quadro associativo, e – argomenta il giudice nell’ordine di cattura – non poteva essere diversamente, attesa l’entità delle somme e l’intuibile necessarietà di complicità interne, anche tecniche. Quadro associativo che non si identifica nel partito, ma che ha operato in danno del partito”. 

Sulla richiesta di arresto ora dovrà pronunciarsi il Senato. Mentre è stata stabilita la misura dei domiciliari per la moglie ed i due commercialisti. Questi ultimi sono Mario Montecchia e il suo socio Giovanni Sebastio. Il primo è amministratore unico della TTT Srl, società usata dall’ex tesoriere per le sue operazioni, nonché membro del Cda del quotidiano Europa. Nell’inchiesta, indagati anche Paolo Piva e Diana Ferri, già legali rappresentanti di alcune delle società coinvolte nell’inchiesta. I fatti contestati vanno dal 2007 al 2011. “La partecipazione alle attività illecite di Lusi è, per i suoi più stretti collaboratori, la risposta naturale alle richieste del ‘capo’. E’ il clan di Lusi che si adopera per assicurargli un futuro”. E’ un passo della richiesta di arresto dei pm, recepita dal gip Simonetta d’Alessandro. Stando agli inquirenti: “la sopravvivenza politica e i successi di Lusi non sono per nulla indifferenti ai suoi collaboratori (moglie, commercialisti storici, collega di studio): tutti nutrivano la ragionevole aspettativa di poter godere di vantaggi diretti e indiretti”.

La notifica è stata consegnata questa mattina dagli uomini della Guardia di Finanza. Lusi avrebbe agito in un contesto di inquinamento, fatto di reticenze e menzogne e di messaggi lanciati all’esterno. Per il senatore la richiesta di arresto è un “provvedimento giuridico abnorme”  perché ”alcune affermazioni non sono nemmeno riscontrate, come i poteri del Comitato di tesoreria e dei revisori dei conti della Margherita”. Secondo il senatore i pm “prendono per buone sommarie informazioni di Enzo Bianco“, cioè il presidente dell’Assemblea federale del partito. Insomma non si tratta di “nessun fatto nuovo, ma la qualificazione giuridica contenente il reato associativo” e per la moglie l’unica ragione della richiesta è il “pericolo di fuga”. Ma il giudice la pensa molto diversamente sulla costruzione di un quadro probatorio imponente e preciso: “Il pubblico ministero che, nell’ intangibile autonomia costituzionale che gli compete, è dominus dell’iniziativa cautelare ha atteso di completare un mosaico complesso, nel quale si confondevano luci ed ombre, e dovevano di conseguenza compiersi analitici e minuziosi percorsi accertativi su acquisizioni opache, informi, confuse, per pervenire ad una spendibile chiarificazione della verità processuale“. 

Lusi per il giudice non è quello che all’epoca di Tangentopoli qualcuno avrebbe definito un “mariuolo”, ma quasi un attentatore dell’ordine democratico. “La manomissione del pluralismo dei partiti è, sul piano ontologico, l’anticamera della svolta totalitaria”. Insomma i partiti sono un baluardo della democrazia e non posso essere derubati. “Ed è in questo contrasto stridente, tra la finalità pubblicistica e costituzionale che le somme stesse avrebbero dovuto consentire ai loro beneficiari; tra le ragioni di istituto, tese a consentire un’effettiva dialettica della democrazia, e la destinazione che il denaro ha in concreto avuto, che risiede quel senso di maleolente corruzione del costume, difficile a personalizzarsi immediatamente in responsabilità individuali, che rende complessa la lettura dell’intera vicenda. Il contesto illuminato dall’inchiesta è importante, forse clamoroso. E questo non già per l’entità delle somme coinvolte, dal momento che il denaro è un misuratore, ma non il misuratore di ogni cosa. Il soggetto in danno del quale si sono compiuti i reati in contestazione, un partito politico, ossia un’associazione non riconosciuta. Rimossa la cortina tecnicistica della definizione iure civili, corretta ma riduttiva, o, quanto meno, non esaustiva, deve porsi in adeguata evidenza che il beneficiario – argomenta ancora il giudice – è un soggetto giuridico avente un rilievo non solo pubblicistico, ma costituzionale. Il profilo definitorio esatto non è solo quello che pone richiamo al codice civile: il testo da consultare è la Carta costituzionale, nella quale i partiti politici sono disegnati come realtà essenziali per la vita dello Stato”. Il rischio quindi per il giudice è una deriva antidemocratica in un contesto di corruzione generale: “E’ stato, infatti, per il tramite della loro eliminazione (dei partiti, ndr) che si sono abbattute le garanzie pluralistiche coessenziali all’ordinamento liberale e si è creato lo Stato fascista, dichiaratamente antiparlamentare”. Insomma secondo il giudice, a dispetto della presunta abnormità del provevdimento, “i fatti ipotizzati non sono gravi, sono gravissimi, connotati da un’opacità idonea ad incidere sull’effettività di precise garanzie costituzionali. Esistono valori non suscettibili di quantificazione monetaria, esposti a lesione dalle condotte accertate, tutte connotate da un accentuato cinismo, da una sistematica riserva mentale del principale attore, cioè Lusi, nei confronti delle persone con le quali operava. Insomma, un’attività di vero e proprio saccheggio a fini privati delle casse del partito, ma non solo un’attività di saccheggio. Piuttosto una consapevole, programmatica indifferenza dell’indagato per i fini cui quel denaro doveva esser destinato, per la garanzia di effettività di strumenti essenziali per la dialettica politica, e ciò ad onta del ruolo parlamentare ricoperto, con profili finanche paradossali”.

Luigi Lusi è iscritto nel registro degli indagati dal 30 gennaio scorso. L’inchiesta è coordinata dal procuratore aggiunto di Roma Alberto Caperna e diretta dal pm Stefano Pesci. Inizialmente all’ex tesoriere è stata contestata l’appropriazione indebita di 13 milioni. Di questi, secondo la Procura di Roma, cinque sono stati utilizzati per il pagamento di tasse relative all’acquisto di due case, una a Roma in via Monserrato l’altra a Genzano, e per il trasferimento di somme, anche in Canada, attraverso una società riconducibile allo stesso Lusi e dietro il rilascio di ricevute fiscali per consulenze fittizie. L’inchiesta è partita grazie a una segnalazione della Banca d’Italia che indicava un’anomalia dietro l’acquisto del lussuoso appartamento di via Monserrato. Su questa acquisizione, inoltre, un funzionario di Bankitalia, su delega della procura di Roma, è al lavoro da alcuni mesi per fare luce sui soldi della Margherita sottratti da Luigi Lusi e dal suo entourage. Da quando il senatore è stato interrogato per la seconda volta a piazzale Clodio, gli investigatori della Guardia di Finanza hanno trovato tracce di un’altra ingente somma (un milione e 335mila euro), proveniente dalle casse del partito, che l’ex tesoriere ha utilizzato per acquistare l’appartamento a Roma, pagato alla fine 3 milioni e 600 mila euro, tasse a parte. Già a gennaio, il parlamentare, interrogato in procura, aveva ammesso le proprie responsabilità, ossia di aver effettuato decine di bonifici del quale era sempre il beneficiario. Spiegando i motivi di tali appropriazioni, Lusi, il quale aveva potere di movimentazione di danaro fino a 150 mila euro (da qui la necessità di procedere a decine di bonifici), aveva aggiunto, senza peraltro apparire molto convincente, di essersi appropriato del danaro come compenso delle proprie prestazioni. 

A febbraio, poi, l’inchiesta romana si è ulteriormente allargata. I pm romani così hanno ricostruito il percorso dei soldi, usciti attraverso decine di bonifici e finiti tutti nella disponibilità dell’attuale senatore del Pd. Ma ci sono ancora dei buchi neri da analizzare. Possibile che nessuno, all’interno del partito, si sia accorto degli ammanchi, tra il 2008 ed il 2011, tra i fondi ottenuti dalla Margherita sotto forma di rimborsi elettorali? Lo stesso parlamentare, nel confessare le proprie responsabilità, non ha chiamato in causa altri soggetti. In particolare, ha detto di aver fatto tutto da solo e all’insaputa di chiunque altro. Ad aprile nuovi sospetti su altri 13 milioni di euro. E spese esorbitanti, oltre 800mila euro in un anno, senza alcuna documentazione. Persino un viaggio a Londra in aereotaxi per 15mila euro. Della cifra totale, 13,5 milioni sono soldi dirottati da Lusi nel periodo 2007 – 2011 sulla sua società ”Ttt”, attualmente sotto sequestro. Altri 13 milioni riguardano spese non documentate.

Nella relazione della società Kpmg, che ha preso in esame la contabilità della Margherita a partire dal 2001, si sottolinea che ”risultano spese per viaggi e trasferte elettorali pari ad euro 869.428 che si riferiscono a centinaia di assegni di piccolo taglio (inferiori ai 12 mila euro) emessi dal tesoriere sul conto corrente acceso presso Bnl” e registrati ”senza alcun documento a supporto della spesa sostenuta”. ”Una analisi preliminare per analoghe operazioni (assegni a cifra tonda) anche per gli anni precedenti fino al 2007 – prosegue la relazione – porta ad evidenziare una somma stimata in circa euro 13 milioni per i quali ad oggi, in attesa che si esauriscano le attività di verifica del’autorità Giudiziaria e della Banca d’Italia, non sono state eseguite ulteriori verifiche”. Tra le situazioni anomale si fa riferimento a fatture emesse nel 2011 con descrizione generica di una agenzia di viaggi di Roma ”per un valore complessivo di 228 mila euro”. Nel documento viene precisato che l’agenzia di viaggi ha fornito tutta la documentazione dalla quale è emerso, inoltre, che ”le suddette fatture sono quasi interamente riconducibili a servizi di viaggio fruiti dal senatore Lusi e/o persone a lui riconducibili”. I ‘rapporti annui’ indicano che per il 2007 sono stati spesi oltre 454 mila euro; nel 2008 quasi 270 mila; nel 2009 euro oltre 380 mila (tra cui gli 30 mila euro pagati allo chef Antonello Colonna con assegni della Margherita per il catering del suo secondo matrimonio celebrato nel luglio del 2009, il tutto emerso dalla consulenza sulla contabilità della Margherita voluta dallo stesso partito) e nel 2010 più di 171 mila.

Nell’esercizio 2011 -prosegue la relazione- ”sono state trovate fatture emesse dall’agenzia leader per servizi di aereo taxi di cui una presumibilmente riconducibile a Lusi: si tratta di un servizio per la tratta Roma-Biggin Hill (Londra)-Roma svolta il 29 e 30 marzo 2011 per un costo di 15 mila euro”. I consulenti inoltre rilevano che la “gestione amministrativa” era totalmente in capo al tesoriere Luigi Lusi che aveva anche “l’esclusiva operatività finanziaria”. Conclusioni che hanno indotto i legali della Margherita Titta Madia e Alessandro Diddi a parlare di tracce, secondo i legali della Margherita, di ”artifici contabili adottati dal senatore Luigi Lusi per occultare le sue appropriazioni in danno del partito”. In vista della richiesta d’arresto inviata al Senato, il primo ad esprimersi è stato il leader dell’Udc Pierferdinando Casini, il quale ha annunciato che il suo partito voterà a favore del carcere per l’ex tesoriere de La Margherita.