Politica

Palermo, candidato arrestato per mafia. Scaricabarile tra Pid e Udc: “Non è dei nostri”

Vincenzo Ganci, accusato di voto di scambio per i suoi rapporti con la cosca di Misilmeri, si presenta nella lista Amo Palermo in sostegno di Marianna Caronia, in corsa per il partito dell'ex ministro Saverio Romano. Che ora lo "attribuisce" alla formazione di Casini. Che lo respinge al mittente

A Palermo l’ombra lunga di Cosa Nostra si allunga sulle elezioni amministrative di maggio. A finire in manette questa mattina è stato infatti Vincenzo Ganci, uno degli oltre 1200 candidati al consiglio comunale del capoluogo siciliano. Ganci è attualmente consigliere della circoscrizione Oreto e per le prossime amministrative era stato inserito nella lista civica Amo Palermo, che sostiene la candidatura a sindaco di Marianna Caronia, deputata regionale dei Popolari d’Italia Domani. Per il partito dell’ex Ministro delle Politiche Agricole Saverio Romano, imputato con il rito abbreviato per concorso esterno in associazione mafiosa, è un duro colpo ad appena tre settimane dal voto. Ganci è accusato di concorso esterno a Cosa Nostra: secondo gl’inquirenti avrebbe infatti stretto un patto elettorale con Francesco Lo Gerfo, finito in manette perché è considerato il capo mandamento di Misilmeri. Le indagini del nucleo investigativo dei carabinieri sono partite proprio dal piccolo comune in provincia di Palermo: è qui che Ganci, dipendente dell’azienda municipalizzata palermitana Gesip, comincia a fare politica alla fine degli anni ’90, quando viene eletto al consiglio comunale.

La sua carriera politica si sposta in seguito a Palermo, dove Ganci diventa consigliere della circoscrizione Oreto. Poi il salto con la candidatura in consiglio comunale alle prossime amministrative di maggio.

È a Misilmeri però che Ganci viene sorpreso dalle microspie degli investigatori mentre si starebbe accordando con Lo Gerfo per pilotare la campagna elettorale: l’obbiettivo è fare eleggere Giuseppe Cimò, cugino del presunto boss, presidente del consiglio comunale. “Le indagini – scrive il gip Luigi Petrucci nell’ordinanza di custodia cautelare – hanno dimostrato che Lo Gerfo, dopo aver indirizzato i voti della consorteria mafiosa e fatto eleggere nell’amministrazione comunale persone a lui vicine, è riuscito a far sì che le stesse ricoprissero ruoli istituzionali nevralgici, come quelli di presidente (Giuseppe Cimò) e vice presidente (Giampiero Marchese) del consiglio comunale di Misilmeri, creando dunque i giusti presupposti per controllare e indirizzare le scelte della pubblica amministrazione in favore degli interessi propri e dell’associazione da lui capeggiata”.

Le manette, oltre che per Ganci e Lo Gerfo, sono scattate anche per l’imprenditore Mariano Falletta, e per altri due presunti boss: Stefano Polizzi e Antonino Messicati Vitale, che però è latitante in Sudafrica. A Cimò è stato invece notificato un avviso di garanzia.

Le indagini coordinate dal procuratore aggiunto della dda di Palermo Ignazio De Francisci e dai sostituti Nino Di Matteo, Lia Sava e Gery Ferrara hanno preso spunto dalle dichiarazioni del collaboratore Stefano Lo Verso. Gli inquirenti sono arrivati a documentare come il clan si fosse infiltrato negli affari del comune di Misilmeri. Gli interessi maggiori erano quelli che riguardavano il settore dei rifiuti, dove operava l’azienda di Falletta, considerato a tutti gli effetti un prestanome di Lo Gerfo. La cosca era in grado in questo modo di elargire posti di lavoro al Coinres (Consorzio intercomunale rifiuti energia servizi), la società costituita tra la Provincia di Palermo e 22 Comuni dell’hinterland, acquisendo anche commesse dal Comune di Misilmeri. Proprio il Coinres sta attraversando attualmente un momento di profonda difficoltà economica: il risultato è la continua interruzione della raccolta dei rifiuti a causa del mancato pagamento degli stipendi dei dipendenti. Adesso per il comune di Misilmeri si prospetta l’arrivo degl’ispettori prefettizi e il probabile scioglimento per infiltrazioni mafiose. Sarebbe la terza volta dal 1992.

L’attività investigativa ha coinvolto anche Salvatore Barrale, indicato come uno dei responsabili del mantenimento delle famiglie di detenuti e appartenente alla cosca di Belmonte Mezzagno, il paese d’origine di Saverio Romano. Proprio dal partito dell’ex ministro è arrivata la prima reazione all’operazione dei carabinieri. “Il presidente del consiglio comunale di Misilmeri Giuseppe Cimo’, esponente dell’Udc, così come il consigliere di circoscrizione Vincenzo Ganci, non fanno parte della nostra formazione politica” ha detto Rudy Maira, capogruppo all’ Ars del Pid. Una presa di distanza a cui ha subito replicato Girolamo Guarneri, segretario provinciale dell’Udc di Palermo: “Con riferimento alle dichiarazioni dell’onorevole Maira sull’appartenenza all’Udc del presidente del consiglio comunale di Misilmeri, Giuseppe Cimò, si precisa che lo stesso non è iscritto al nostro partito”.

E in attesa di capire a quale partito appartenessero i due politici coinvolti nelle indagini, l’aspirante sindaco di Palermo Marianna Caronia ha ribadito che la sua candidatura “nasce dalla gente per bene. Prima di accettare la sua richiesta di candidatura anche Ganci aveva presentato, come tutti gli altri, un’autocertificazione in cui sosteneva di non essere indagato”. Per la verità all’esponente del Pid era arrivata anche una e-mail anonima in cui si segnalava come Ganci fosse “vicino a mafiosi”. Proprio per questo tramite raccomandata aveva chiesto a tutti i suoi candidati di ”produrre con cortese urgenza” il certificato penale e un certificato di carichi pendenti. “L’ho ottenuto da parte di tutti, anche di Ganci” ha detto la Caronia. Solo che Ganci era indagato per fatti di mafia e la sua documentazione non poteva certo contenere l’indicazione della delicata inchiesta che ha portato al suo arresto.

Mille Comuni al voto, vai allo Speciale amministrative di ilfattoquotidiano.it