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Regno Unito, il Guardian denuncia: “Nel 2011 oltre 8mila lavoratori coatti”

Per i job centre inglesi si tratta di “esperienze formative per preparare la persona alla piena occupazione”, ma nei fatti è un "impiego obbligatorio", senza retribuzione, fornito per non perdere l’assegno di disoccupazione. A far emergere la storia il quotidiano britannico che ha raccolto le esperienze di questi "impiegati forzati"

Secondo il giro di parole dei centri per l’impiego britannici, si tratta di “esperienze formative per preparare la persona alla piena occupazione”. Secondo le associazioni per i diritti dei lavoratori e secondo il Guardian, che ha avviato un’indagine sul fenomeno, si tratta semplicemente di lavoro “coatto”. Nel Regno Unito, in tutto il 2011, migliaia di persone sono state obbligate a lavorare, senza essere retribuite, per non perdere l’assegno di stato che viene dato ai disoccupati. Qualche centinaio di sterline al mese, che comunque fanno la differenza fra avere fame e non averla. Un assegno di disoccupazione che spesso viene abbinato a contributi per l’affitto e per i mezzi di trasporto, richiedibile online. Un welfare sicuramente più avanzato di quelli di altri paesi europei, soprattutto dell’area mediterranea. Ma anche un welfare che ha molti punti oscuri. E ora il Guardian ha sollevato il caso, intervistando decine di lavoratori “forzati” e raccogliendo testimonianze su testimonianze.

Per portare avanti la sua inchiesta, il quotidiano si è avvalso del Freedom of Information act, una legge che garantisce al sistema informativo la trasparenza degli atti pubblici. E così si è scoperto che nel Regno Unito, spesso, a chi viene prospettato un periodo di lavoro “volontario” viene poi imposto, in caso di rifiuto, un periodo obbligatorio di occupazione. Poche settimane, al massimo quattro, necessarie tuttavia per non perdere i “benefit” di stato. Lo scorso mese tante aziende furono costrette a fare marcia indietro, dietro la pressione dell’opinione pubblica, e a non accettare più i disoccupati in lavoro “volontario”. Tutti ragazzi fra i 16 e i 24 anni, che dovevano prestare servizio in negozi e uffici. Fra queste grandi aziende, anche Tesco, la catena di supermercati, contro la quale ci furono manifestazioni e proteste. Tesco fu persino obbligata a incontrare in fretta e furia i ministri dell’Economia e dell’Occupazione. Dalla riunione ne uscì fuori una promessa: mai più lavoro non retribuito.

Fra le varie testimonianze rilasciate al Guardian, quella di una disoccupata che iniziò un lavoro “volontario” – ma si tratta solo di un’etichetta – in un negozio convinta che sarebbe stata pagata. Dopo aver scoperto che in cambio non avrebbe ricevuto alcunché, la ragazza si rivolse al centro per l’impiego, per lamentarsi e per chiedere una retribuzione. E, per tutta risposta, fu inserita in un programma di lavoro obbligatorio della durata di un mese. Il quotidiano ha volutamente tenuto nascosti i nomi di questi giovani disoccupati, per non compromettere la loro situazione. Ma fonti governative e del dipartimento per l’Occupazione hanno di fatto confermato l’inchiesta del Guardian.

“Questa non è la prassi – ha detto una portavoce del dipartimento – ma i centri per l’impiego possono usare il lavoro obbligatorio, nel caso venga ritenuto appropriato, come utile risorsa per la formazione del lavoratore. Si ragiona caso su caso e si considerano tutte le circostanze individuali dei lavoratori”. Ora le associazioni per i diritti umani del Regno Unito reagiscono con forza. E parlano di “disoccupati ai lavori forzati”. La nuova finanziaria per il 2012 del governo Cameron abbina un leggero taglio delle tasse a un più sostenuto taglio del welfare. Ma rimangono tutti i dubbi per metodi e pratiche che, ai più, possono sembrare di altri tempi. In tutto il 2011, secondo il Guardian, i percorsi di lavoro obbligatorio sono stati più di 8 mila, contro i 6 mila di lavoro volontario.