Cronaca

Fakhra, uomini di latta

Ci sono storie mortali che non devono essere dimenticate. Storie che ti trascinano nel fango in cui sono state gettate. Storie che sono di persone ma che diventano di tutti. Storie dove il dolore diventa coraggio fino a che uno non ne può più. Storie dove la vita ti marchia e ti uccide piano piano. Storie che raggiungono l’anima e te la stritolano. Fakhra si è uccisa. Ma la sua morte è cominciata molto tempo fa.

Si è buttata da un balcone di Roma qualche giorno fa, decisa a non essere salvata per la quarta volta. La mano che l’ha spinta da lontano è quella del marito che più di dieci anni fa in una notte colma di gelosia, l’ha cancellata con l’acido. Ha violato il volto di una bella ragazza pakistana. Ha trafitto il suo spirito e un’anima a brandelli non sopravvive. “Ho paura che gli altri abbiamo paura di me quando mi guardano”, disse una volta Fakhra trasferitasi a Roma per operarsi. 39 volte per potersi guardare senza riuscire a capire quanto fosse bella. Quanto ognuna di quelle piaghe fosse un gioiello che le attraversava il volto, quanto la sua forza la rendesse ricca, speciale, unica. Non era un mostro. Non poteva fare paura a chi la conosceva perché gli occhi della gente sanno riconoscere quello che vale. Sanno riconoscere la forza, il coraggio. E anche la sofferenza.

Se in questa storia e in molte altre che ci circondano ci sono dei mostri giacciono nei cuori di quegli uomini che hanno la forza di alzare una bottiglia di acido o un pugno per picchiare una donna. E non è una questione di confini, in Pakistan usano l’acido, in Afghanistan tagliano i nasi, in Europa fanno sparire i corpi e non danno pace neanche ai propri figli. Cambiano i metodi, ma non cambia l’orrore che scorre nelle vene di queste persone deboli, vigliacche, incapaci di essere uomini veri. Teste abbassate sulla vita, dove il potere di uno spintone diventa l’unica cosa che sanno fare. Dove l’autorità lì fa sentire importanti quando in realtà non lo sono affatto. Piccoli uomini di latta.

In Afghanistan conobbi una ragazza a cui il marito aveva tagliato il naso. E gli occhi. E le aveva deturpato il viso con delle forbici perché credeva di essere stato tradito. Si sbagliava, ma anche fosse stato vero non avrebbe importanza. Quella ragazza, centinaia di ragazze non andrebbero mai dimenticate. Ma il modo migliore per rendere onore alle loro vite annientate è aiutare anche solo riconoscendo le storie di tutte le altre, quelle che stanno nei nostri palazzi e vivono dietro mura di paura. Quelle bellissime donne coi lividi sulle braccia e nel cuore. Quelle delle ragazzine in balia del branchi in un mondo che ruota troppo in fretta per accorgersi di quello che ci circonda.

Non sono le donne a dover rivendicare la loro dignità. Sono gli uomini a doverlo fare. Sono loro che devono difenderle dai mostri. Sono quei poliziotti che dicono “non possiamo fare niente”. Sono quegli uomini che sanno ma non fanno. Sono quei medici che curano e non denunciano, sono quegli amici che notano ma non vogliono prendere posizione.

Non ci sarà mai un mondo senza violenza. Ma un mondo di uomini che sanno dare l’esempio, si può sempre costruire.