Emilia Romagna - Cronaca

Massacrò una ragazzina e uccise un tassista: si suicida in cella a Parma

Il legale polemico: "Aveva dei problemi, è stata una tragedia annunciata". Il sindacato degli agenti di polizia penitenziaria: "Le morti in carcere sono un problema insoluto"

Massacrò la ragazzina che lo rifiutò, infierendo con ferocia indicibile, 470 coltellate, e oltraggiandole il corpo. Uccise il taxista che lo prese a bordo solo per facilitarsi la fuga, senza senso. Dopo poche ore si costituì. Sei anni dopo si è suicidato in cella, nel carcere della Burla a Parma, dove da due anni era in isolamento diurno. Lo ha fatto inalando il gas di una bomboletta a uso di cucina. E’ questa la fine che ha scelto per sè Stefano Rossi, 25 anni, che compì il duplice omicidio il 28 marzo 2006.

La prima vittima fu quella predestinata, il vero obiettivo della sua follia. La studentessa Virginia Fereoli, 17 anni, lo aveva respinto. E Rossi, premeditando, la attirò in un parco di Felino, nel Parmense. Voleva assassinarla. Si era infatti portato dietro una pistola, un coltello e un nunchaku, due bastoni collegati alle estremità da una catena di ferro. Per prima cosa la strangolò, poi ancora viva le rifilò una stilettata al cuore. Quindi infierì con centinaia di coltellate al corpo esanime, le ricoprì il viso di sputi, le sfilò le scarpe, le infilò i calzini alle mani. Quindi chiamò un amico, si fece dare un passaggio a Parma, dove chiamò un taxi. Fu l’ultimo viaggio ‘di serviziò di Andrea Salvarani. Rossi lo uccise con un colpo di pistola al solo scopo di rubargli l’auto. Omicidio inutile. Poteva farsela consegnare, l’auto. E poi, dove sarebbe potuto andare? Da nessuna parte. Poche ore dopo, infatti, si costituì ai carabinieri.

Fu, ovviamente, ergastolo, confermato il 3 febbraio 2011 in Cassazione, con isolamento diurno di due anni. Il tema, ancor più ora che si è ucciso, è sempre quello. Meritava di vedersi riconosciuta la seminfermità mentale, come da sempre ha chiesto il suo legale? “E’ stata una tragedia annunciata”, ha detto qualche ora dopo il suicidio l’avvocato Stefano Molinari: “Una tragedia che si va ad aggiungere alla decine che interessano purtroppo ogni mese le carceri italiane. Quello di Stefano Rossi è solo l’ultimo caso di una lunga lista. Nel 2010 ci sono state 186 morti negli istituti italiani, nel 2011 184 e sono quasi tutti dovuti a suicidi”. Ma sugli appelli per ottenere una tutela psichiatrica, il legale non indugia: “Tornare su questo argomento oggi è purtroppo inutile”.

“Sono rimasto molto colpito. Ero molto coinvolto dalla tragedia di quel ragazzo e non me l’aspettavo, pensavo di rimanere più freddo visto quello che ha fatto alla mia famiglia”. Sono state queste le parole di Paolo Salvarani, fratello di Andrea: “Considerando i problemi familiari che ha avuto, considerando le difficoltà della sua infanzia e della sua adolescenza forse doveva essere sostenuto e protetto di più, però andava fatto prima di quella terribile notte. Da sei anni fa ad oggi forse non c’era più nulla da fare”.

Il suicidio, annunciato dal sindacato autonomo di polizia penitenziaria Sappe, è l’ennesimo: “Nonostante ogni buona intenzione da parte dell’Amministrazione penitenziaria – ha denunciato Giovanni Battista Durante, segretario generale aggiunto – quella delle morti in carcere resta un problema insoluto e, probabilmente, irrisolvibile, considerate le enormi carenze di personale di polizia penitenziaria e di altre figure professionali, oltre, ovviamente, al sovraffollamento”.