Cronaca

La compagna del boss abusiva e sotto sfratto Ma il comune le assegna una casa popolare

Il 20 febbraio 2012 Renata Plado, legata a Giuseppe Cosco, uno dei padrini di viale Montello 6, sentita durante il processo per la morte di Lea Garofalo spiega che dal 2009 ha ottenuto una casa del Comune nonostante fosse abusiva e sotto sfratto in un altro alloggio popolare

Viale Montello 6 a Milano

Nel 2009 una casa popolare viene assegnata nonostante la richiedente avesse già uno sfratto esecutivo da un altro alloggio popolare. Con un particolare: il Comune di Milano (guidato allora dalla giunta di Letizia Moratti)  nulla sapeva. Di più: l’assegnataria è Renata Plado, classe ’71, nata a Varese e da anni compagna di vita del boss Giuseppe Cosco, detto ‘Smith’, un tipo tosto che da anni, assieme a fratelli e parenti vari, occupa militarmente il palazzo al numero sei di viale Montello, pieno centro della città a due passi dalla Chinatown milanese. Anche qui roba pubblica. Proprietario: l’ospedale Maggiore. Come se non bastasse la signora Plado il primo settembre 2011 finisce in carcere accusata di spaccio di cocaina e usura. Il suo nome sta dentro al secondo filone dell’indagine sui Cosco. Secondo l’accusa il clan, legato alle cosche della ‘ndrangheta di Petilia Policastro, non solo controllava ogni cosa in viale Montello, ma arrivava anche ad affittare direttamente gli appartamenti sostituendosi così alla dirigenza dell’ospedale.

Insomma, per l’ennesima volta storie di ‘ndrangheta e malavita si incrociano con l’amministrazione pubblica milanese. La domanda, infatti è legittima: come è stato possibile che una signora con sfratto esecutivo da un alloggio pubblico ne ottenesse un altro? Non solo. La questione non sarebbe mai stata scoperta se Renata Plado non fosse stata ascoltata in aula durante il processo ai Cosco accusati di aver ucciso e poi sciolto nell’acido la pentita Lea Garofalo nonché moglie di Carlo Cosco. In questo processo Giuseppe ‘Smith‘ Cosco è accusato, assieme al fratello Vito, di aver interrogato e poi ucciso la stessa Garofalo. Intrecci familiari che non offuscano l’ennesimo pasticciaccio.


Video di Franz Baraggino

Torniamo allora nell’aula della prima Corte d’assise del tribunale di Milano. E’ il 20 febbraio 2012. Bastano poche battute e la notizia viene squadernata naturalmente. “Nome e cognome?”, domanda il presidente. La risposta: “Plado Renata, nata a Varese il 2 febbraio 1971; residente a Milano in via Fabrizio De Andrè, numero 12″. Si tratta di una strada verso viale dei Missaglia periferia ovest della città. Qui ci sono sei palazzoni di proprietà del Comune, gestiti dall’Aler (Azienda lombarda edilizia residenziale) a partire dal 2007. In questa zona la Plado chiede e ottiene un appartamento. Ma sta da un’altra parte. Il particolare non sfugge al presidente che chiede: “Però vive in via Montello?”. “No, la residenza è lì. Sì, sono domiciliata tra virgolette, perché i miei figli sono in Montello”. Da qui in poi l’interrogatorio riguarda i rapporti con Lea Garofalo. E solo alla fine riemerge il caso dell’appartamento. La casa di via De Andrè. Spiega la Plado: “Io avevo fatto la domanda alle case popolari. Siccome da via Montello abbiamo lo sfratto, io presentai la domanda”. L’assegnazione arriva nel 2009. A questo punto il presidente si incuriosisce: “Da giugno del 2009 nonostante l’assegnazione di questa casa stava sempre in via Montello, nonostante lo sfratto?”. Semplice quanto inquietante la spiegazione: “Ho risistemato la casa, i mobili mi sono arrivati a dicembre 2009, non ho i caloriferi che mi funzionano in via De Andrè, però ho l’assegnazione. Non mi spostavo perché comunque i miei figli non vogliono cambiare casa”.

Insomma, qualcosa non torna. Ma cosa? Due le possibilità: visto che l’alloggio è di proprietà del Policlinico può essere che ci sia stato un difetto di comunicazione con il Comune di Milano. “Difficile – spiega il consigliere comunale del Pd David Gentili – perché lo sfratto a carico della Plado era cosa nota”. Forse, però, bisognava accertare il motivo di quello sfratto. E del resto la cronologia dei fatti è chiara: Giuseppe Cosco e la sua compagna risultano abusivi dal 1990. Mentre dal 2007 la Fondazione Irccs Cà Granda Ospedale Maggiore Policlinico ottiene una prima sentenza da parte del Tribunale di Milano già nel 2007. E dunque il sospetto, che però resta tale, è che i Cosco possano aver avuto qualche via preferenziale nell’amministrazione pubblica.

Per capire cosa sia successo realmente il primo marzo i consiglieri comunale del Pd David Gentili (neopresidente della Commissione comunale antimafia) e Carmela Rozza inviano un’interrogazione all’assessore alla Casa Lucia Castellano per capire “se quanto riferito dalla signora Plado durante l’udienza del 20 febbraio corrisponda al vero e per quale motivo sia stata assegnata la casa di Edilizia residenziale pubblica alla signora Plado o al marito Giuseppe Cosco”. Due settimane dopo, la risposta dell’assessore alla Casa conferma in piena le parola di Renata Plado: “L’alloggio in via De Andrè 12 è stato assegnato alla signora il 18 giugno 2009 a seguito di regolare partecipazione al bando 2008”. Di più: secondo il Comune, la Plado non è abusiva (nonostante la sentenza del 2007) e il suo punteggio risulta alto perché si è in presenza di un titolo di sfratto. Qualcosa, come si intuisce, non torna. “Per questo – spiega David Gentili – chiederemo di acquisire tutta la documentazione per capire cosa sia successo”.