Economia & Lobby

Cinque premi Nobel: “Pareggio di bilancio? Una camicia di forza per l’economia”

I cinque economisti lo scrivono in un appello al presidente Usa Obama nel quale tutti si ribellano all'idea che uno Stato non debba, e non possa, spendere più di quanto entra nelle sue casse. "Sbagliato metterlo nella Costituzione"

Kenneth Arrow e Robert Solow

Il pareggio di bilancio è “una camicia di forza economica” e non c’è alcun bisogno di inserirlo nella Costituzione. La norma rappresenta “una scelta politica estremamente improvvida… (con) effetti perversi in caso di recessione”. Cercare di raggiungere il pareggio di bilancio è, nella fase attuale, pericoloso. Perché “nei momenti di difficoltà diminuisce il gettito fiscale e aumentano alcune spese tra cui i sussidi di disoccupazione. Questi ammortizzatori sociali fanno aumentare il deficit, ma limitano la contrazione del reddito disponibile e del potere di acquisto”

Lo scrivono cinque premi Nobel per l’economia (Kenneth Arrow, Peter Diamond, William Sharpe, Eric Maskin, Robert Solow), che in un appello al presidente Barack Obama – diffuso dal sito Keynesblog.com – si ribellano all’idea sempre più in voga in questi tempi di crisi economica: e cioè che uno Stato non debba, e non possa, spendere più di quanto entra nelle sue casse. La norma fa già parte, in forme diverse, delle costituzioni di Germania, Estonia, Svizzera e Polonia. In Ungheria il governo di Viktor Orban ha stabilito l’inserimento del pareggio di bilancio nella costituzione a partire dal 2016. E anche in Italia il principio dell’equilibrio tra entrate e spese guadagna sempre più consensi. Dopo la promessa di Silvio Berlusconi, nel 2011, la scorsa settimana la Camera dei deputati ha votato a larga maggioranza (489 voti a favore, 3 contrari e 19 astenuti) un DDL che vincola le autonomie territoriali “ad assicurare l’osservanza dei vincoli economici e finanziari derivanti dall’ordinamento dell’Unione europea”.

E’ però soprattutto negli Stati Uniti che la discussione sul “balanced budget” ha raggiunto negli ultimi anni i toni più accesi. Il tema acquistò forza all’interno di settori consistenti del partito repubblicano già negli anni Sessanta, come reazione alle politiche “guns and butter” di Lyndon Johnson, che combinavano i programmi di espansione economica della “Great Society con spese ingenti per la guerra in Vietnam. E’ però con le presidenze Bush e Obama, e con la rapida espansione del debito pubblico, che i fiscal conservatives d’America hanno chiesto vincoli di bilancio sempre più rigidi. Il debito pubblico americano, al 67% del PIL nel 1994, ha raggiunto il 93,5% del PIL nel 2010 (per un totale di oltre 13 miliardi di dollari). Come merce di scambio per il sì all’innalzamento del tetto del debito, nel 2011, i repubblicani hanno ottenuto proprio assicurazioni sul principio di pareggio. Il Budget Control Act, che ha risolto la crisi sul debito, richiede anche un voto del Congresso sul pareggio nel più vicino futuro.

Per ora, nessuna decisione è comunque stata presa a livello federale (da notare invece che ogni Stato americano, a parte il Vermont, ha approvato misure di “balanced budget”). In tempi di campagna elettorale, non sembra una buona idea, neppure per i repubblicani, imporre sacrifici, nella forma di una maggiore imposizione fiscale, o di tagli consistenti alla spesa sociale (i due unici modi in cui il pareggio di bilancio potrebbe essere raggiunto). Il documento sottoposto dai premi Nobel per l’economia cerca ora di chiudere la discussione, anche per il futuro. Secondo gli economisti, la necessità di riportare il bilancio in pareggio darebbe un colpo pesante a “una ripresa di per sé già debole”.

Un emendamento che introducesse il vincolo del pareggio di bilancio “impedirebbe al governo federale di ricorrere al credito per finanziare il costo delle infrastrutture, dell’istruzione, della ricerca e sviluppo, della tutela dell’ambiente e di altri investimenti vitali per il futuro benessere della nazione”. Di più. Un tetto vincolante di spesa, comporterebbe la necessità, in caso di spese di emergenza (per esempio i disastri naturali), di tagliare altri capitoli del bilancio, mettendo in pericolo il finanziamento dei programmi “non di emergenza”.

L’appello degli economisti a Obama arriva tra l’altro dopo una serie di recenti interventi di un altro economista keynesiano, anche lui premio Nobel, Paul Krugman, che ha più volte riaffermato che non l’eccessiva ampiezza del debito, ma la prudenza nella politica di investimenti pubblici, ha impedito una più veloce ripresa economica. Il piano di stimoli economici dell’amministrazione Obama, ha scritto Krugman, “è stato troppo ridotto e cauto”, non in grado di riassorbire i milioni di posti di lavoro persi dall’inizio della recessione nel 2009. Secondo Krugman, la foga dei repubblicani per il pareggio di bilancio, almeno a partire dagli anni Settanta, con la richiesta di farlo diventare emendamento alla costituzione USA, non è altro che un modo per realizzare il totem ideologico del GOP: “la dissoluzione del Welfare State”.