Economia & Lobby

I veri motivi della <br> riforma delle pensioni

Alla puntata di stamattina di Agorà-Brontolo su Rai3 (tema: pensioni) l’On. Colaninno (Pd) e l’On. Cazzola (Pdl) hanno fatto due interventi largamente sovrapponibili nel senso e, a mio avviso, entrambi largamente deprecabili nella sostanza.

l’On. Colaninno ha esordito difendendo la riforma delle pensioni in quanto “Non dobbiamo dimenticare che questa riforma avviene da una parte per un ritardo che abbiamo accumulato…. e anche il fatto che ci siamo trovati a dicembre con il rischio che addirittura l’Italia saltasse insieme non solo alle pensioni ma ai risparmi e al futuro e quindi questa riforma è arrivata per un accumulo di ritardo e anche per il rischio di un collasso finanziario… senza questa riforma, la pensione, probabilmente non c’era più per nessuno… senza la correzione dei conti pubblici, che non è solo un fatto previdenziale… stavamo ri-tracciando con qualche mese di distanza quello che stava avvenendo nella vicina Grecia… questi interventi, che possiamo anche definire brutali, hanno consentito al nostro paese di uscire dal cono del fallimento e del collasso… siamo usciti dalla sala di rianimazione e di coma profondo”.

L’On. Cazzola, invece, ci ha detto: “Credo che il Governo abbia usato le pensioni per mandare un segnale forte ai mercati e in Europa perché, diciamo, il sistema in sé non aveva grossi problemi di riequilibrio però, ecco, quando un paese usa la mano severa sulle pensioni, acquista credito sui mercati internazionali, cioè in realtà questa pensione (intendeva riforma ndr) è stato un segnale politico forte che il governo Monti ha voluto mandare ai mercati”.

Cari lettori, vi invito a fare un investimento in tempo e a rileggere accuratamente le due dichiarazioni, che ho riportato testualmente; finalmente emergono, a denti stretti, i veri motivi della riforma delle pensioni fatta di corsa e pure male e che sono molto meno nobili degli intendimenti di equo allineamento dei trattamenti pensionistici tra anziani e giovani o di messa in sicurezza del sistema previdenziale, che cercarono di “venderci” Monti e Fornero.

Colaninno non entra nel merito della valutazione della solidità o meno del precedente sistema pensionistico; butta lì un “accumulo di ritardo” senza spiegare su cosa fossimo in ritardo, dato che ora siamo in largo anticipo rispetto a Germania e Francia, tanto per fare un esempio. In generale, si limita a giustificare la riforma (ed evidentemente così anche l’approvazione data dal Pd) sventolando i rischi del “se non…”, alludendo a situazioni greche e a possibile tracollo finanziario, nulla di nuovo sotto il sole: sin dall’inizio la leva utilizzata per far digerire ai cittadini una riforma non necessaria, frettolosa e iniqua è stata quella della paura del “se non…”.

Cazzola, viceversa, si è lasciato fuggire persino un accenno alla non necessarietà della riforma dal punto di vista dell’assetto del sistema previdenziale, parlando di un sistema che “in sé non aveva grossi problemi di riequilibrio” e indicando che il reale motivo ispiratore era quello di acquistare credibilità sul mercato internazionale. In parole (mie) povere, gli scalpi di pensionati e pensionandi sono stati usati come merce di scambio per lo spread; nulla di nuovo sotto il sole: la mitologia ci insegna che già tremila anni fa Atene doveva inviare ogni anno sette fanciulli e sette fanciulle a Creta, per tenere placato il Minotauro il quale, per inciso, mi sembra meno mostruoso del “Mercato ultralibero” e della “Finanza speculativa”.

Queste dichiarazioni fresche di giornata non fanno che confermarmi nel mio giudizio originale, che espressi a caldo in un articolo del 17 Dicembre 2011 su questo blog “Perché proprio le pensioni?”, che invito chi ne avesse voglia ad andare a rileggere e cioè che i contributi in mano all’Inps siano stati visti come un bene facile facile da razziare per mettere un po’ in sesto i conti e che il “mercato” si sazi volentieri delle distruzioni del welfare.

Come ultima considerazione, vorrei soffermarmi un attimo sulla voluta astensione dei nostri politici dalle loro responsabilità. Infatti non basta, a mio avviso, indicare che sussistevano condizioni finanziarie pesanti o che il mercato chiedeva la riforma, per giustificare la decisione, che è squisitamente politica, di intervenire proprio sulle pensioni. E’ vero che Trichet e Draghi già nello scorso agosto avevano fatto una scorretta invasione di campo entrando nel merito del “cosa” fare in Italia, tuttavia la posizione di un Governo che si rispetti dovrebbe essere quella di tutelare la sovranità nazionale decidendo in autonomia dove intervenire e, se non ci pensa il Governo, dovrebbe ricordarglielo il Parlamento. Perché, in presenza di un sistema già stabile, come dichiarato oggi anche da Cazzola e come già tutti sapevano a parte coloro che non volevano saperlo, decidere se “uscire dalla sala rianimazione” (per dirla con Colaninno) prelevando i contributi dei pensionandi e de-indicizzando le pensioni sopra i 1.500 euro anziché istituire una patrimoniale, eliminare le province, è una decisione eminentemente po-li-ti-ca di cui almeno il parlamento, i partiti, devono assumersi la responsabilità, dato che il Governo, come noto, è tecnico e composto di non eletti.

Credo che a questa fuga dalle proprie responsabilità i nostri politici dovrebbero essere richiamati severamente, magari da un Capo dello Stato; e credo anche che i cittadini e le parti sociali avrebbero il dovere e non solo il diritto, di pretendere che ciò avvenga.

Intanto registriamo l’impudenza da un lato di chi continua a giustificare l’iniquità con la pretesa equità e dall’altro di chi a cose fatte rivela i veri motivi ma continua a sfuggire dalla responsabilità delle proprie scelte.

Sic transit gloria mundi.