Mafie

Dell’Utri e il concorso esterno

Il Procuratore Generale (ovvero colui che rappresenta l’accusa in Cassazione) critica aspramente il concorso esterno durante la requisitoria. La Cassazione annulla la condanna a Dell’Utri e Cosentino non perde l’assist e subito dichiara: il concorso esterno non esiste (chissà perché se ne preoccupa tanto). Ancora una volta le parole nascondo i fatti e non aiutano a capire.

Partiamo da Cosentino, perché la questione vista dal punto di vista politico è “paradossalmente” più semplice. Anzitutto la Cassazione non ha assolutamente detto che il concorso esterno non esiste, ma ha semplicemente deciso di annullare la decisione di II grado (l’appello di Palermo) ritenendola viziata, ma ancora non sappiamo per quale aspetto (se le cose stessero come dice l’ex coordinatore del Pdl, Dell’Utri sarebbe stato direttamente assolto). Inoltre dire che il concorso esterno non esiste è una proposizione inaccettabile, perché se anche si ritenesse imprudente e\o sbagliato contestare un simile reato nei processi alla borghesia mafiosa, resta il fatto che tale tipo di contestazione punta il dito in particolare contro quei colletti bianchi del terzo livello che da sempre sono esistiti e consentono all’organizzazione criminale di affermare i propri interessi in ambito politico ed economico.

L’organizzazione criminale mafiosa non si occupa solo di reati ma è caratterizzata dal voler ottenere e gestire potere e consenso sul territorio, così da condizionare in maniera quasi totalizzante la vita sociale ed economica. Per questo è importante che almeno politicamente siano stigmatizzati anche quei comportamenti tipici del concorso esterno che, seppure più sfumati dal punto di vista del fatto (il concorrente esterno non uccide, non spaccia, non gestisce direttamente soldi sporchi…), sono comunque molto gravi perché consentono alle mafie di essere in contatto e in dialogo con uomini delle istituzioni. Faccio un esempio: se stasera il Presidente del Consiglio venisse visto a Trastevere a cena con esponenti della ‘ndrangheta nessuno potrebbe per ciò solo parlare di concorso esterno (neppure se le cene si ripetessero, in mancanza di ulteriori elementi), ma altrettanto certamente potremmo dire che si tratterebbe di un comportamento politico gravissimo e che di fatto testimonia una disponibilità al dialogo con la malavita. Il giudizio politico sarebbe inequivocabile e questo deve essere l’aspetto centrale nel dibattito pubblico su queste vicende, per far sì che una eventuale assoluzione nel merito dal processo non si tramuti in una beatificazione politica.

Veniamo al Procuratore Generale e alla sua requisitoria. Anzitutto i resoconti giornalistici non possono essere sufficienti per fare una valutazione nel merito, ma ci sono alcune cose che possono essere dette sin d’ora. E’ però un’anomalia del sistema che un processo così importante non possa vedere rappresentata la posizione di coloro che hanno impostato le indagini e contribuito a formare la prova nel I e nel II grado. Ogni pubblico ministero che va in udienza rappresenta formalmente sempre tutto l’ufficio ed è in ogni momento totalmente indipendente dalle scelte che lo hanno preceduto, così che di per sè non è affatto patologico che dopo una richiesta di rinvio a giudizio il PM in udienza si convinca a chiedere l’assoluzione. Tuttavia in questo caso c’erano state già due condanne (Tribunale e Appello) e c’era anche pendente un ricorso della Procura Generale di Palermo (quella di II grado) per ottenere un aumento di pena; tale posizione però evidentemente non ha potuto spendere le proprie ragioni a favore della conferma o dell’aggravamento della sentenza d’appello, in quanto il PG Iacoviello ha espresso un diverso convincimento. Su questo riflettano quelli che parlano sempre dei super-poteri sbilanciati a favore dell’accusa nel nostro sistema.

Last, but not least, alcuni  pensieri telegrafici sulla questione giuridica del concorso esterno in associazione mafiosa. Premesso che tale figura di reato sussiste quando qualcuno contribuisce a rafforzare l’esistenza e\o l’azione dell’associazione criminale pur non essendo formalmente partecipe della medesima associazione (nota 1), è evidente che i contrasti giurisprudenziali che ci sono sempre stati sono da ricondurre alla difficoltà di attribuire fatti specifici a tale tipo di concorrente. Si rischia, secondo alcuni, di perdere del tutto il contatto con fatti specifici, contestando “solo” frequentazioni, amicizie, rapporti personali. Il tutto spesso illuminato da dichiarazioni di pentiti importanti e coincidenti, ma non sempre riscontrabili in maniera adeguata. D’altra parte è evidente, per le ragioni che dicevo all’inizio, che si è sempre ritenuto importante e decisivo nel nostro Paese riuscire ad incriminare anche quelle figure, di solito politiche, che hanno utilizzato la mafia per raccogliere voti e potere mettendosi di fatto a disposizione delle organizzazione per influenzare la vita pubblica (il famoso terzo livello cui miravano Borsellino e Falcone).

D’altronde il concorso esterno è un parente stretto della corruzione, l’altro grande male di questa povera patria; con la differenza che lì non è in vendita una specifica scelta (ad esempio un appalto…), ma in un certo senso l’uomo politico in quanto tale. Una classe politica seria e decisa a difendere la legalità si impegnerebbe per dare ai magistrati strumenti legislativi più chiari per contrastare anche la borghesia mafiosa, così da evitare che le difficoltà giuridiche si tramutino in delegittimazione per chi si impegna contro la mafia ed incertezza e incomprensione trai i cittadini.

nota 1: Cassazione Sezione VI Sentenza n. 29458 del 26/06/2009: In tema di associazione di tipo mafioso, assume il ruolo di concorrente “esterno” colui che, pur non inserito stabilmente nella struttura organizzativa del sodalizio, fornisce tuttavia un concreto, specifico, consapevole e volontario contributo, di natura materiale o morale, sempre che questo abbia una effettiva rilevanza causale nella conservazione o nel rafforzamento delle capacità operative dell’associazione, rivelandosi in tal senso condizione necessaria per la concreta realizzazione del fatto criminoso collettivo.